Text
                    Apollonio
 GENI
 della
 MATEMATICA


Il dominio delle sezioni coniche Apollonio RBA
PEDRO MIGUEL GONZÁLEZ URBANEJA è professore di Matematica, divulgatore scientifico, scrittore e filosofo della scienza. I geni della matematica Pubblicazione periodica settimanale Anno I - Numero 35 - Milano, 18 gennaio 2018 Edita da RBA Italia Via Gustavo Fara, 35 - 20124 Milano Direttore generale: Andrea Ferdeghini Responsabile editoriale: Anna Franchini Responsabile marketing: Tiziana Mandameli Direttore responsabile: Stefano Mammini © 2016 Pedro Miguel González Urbaneja per il testo © 2016 RBA Coleccionables, S.A.U. © 2017 RBA Italia S.r.l. per la presente edizione Impaginazione e adattamento: Lesteia, Milano Traduzione: Mario Naldi Copertina: Lorenç Marti Progetto pagine interne: Luz de la Mora Infografica: Joan Pejoan Crediti fotografici: Album: Archivo RBA: 19, 35, 37, 48, 62d, 62s, 97, 12la, 121bs, 121ad, 127, 153b; Sébastien Bertrand: 128; Getty Images: 67b; Pedro Miguel González Urbaneja: 25, 136; NASA: 153as; Wolfgang Sauber: 39as, 39ad; SBA73: 151; Shutterstock: 67a, 107; Rolf Süssbrich: 153ad; Vyinn: 29. Registrazione presso il Tribunale di Milano n. 286 del 24/11/2016 Iscrizione al ROC n. 16647 in data 1/03/2008 ISSN 2531-890X Distributore per l’Italia: Press-di Distribuzione Stampa e Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) PI. Spa Sped, in abb. post. DL 353/2003 legge del 27/04/04 n. 46 art. 1 Stampato nel 2017 presso LIBERDUPLEX Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta o diffusa senza il consenso dell’editore.
Sommario INTRODUZIONE 7 CAPITOLO 1 Apollonio, l’apice della geometria alessandrina 15 CAPITOLO 2 L’ultimo prodigio della geometria greca: Le coniche 41 CAPITOLO 3 Su intersezioni, segmenti estremi, somiglianze, tangenti e normali 89 CAPITOLO 4 Altre opere matematiche di Apollonio m CAPITOLO 5 Un lascito sempre vivo nelle scienze e nell’arte 133 LETTURE CONSIGLIATE 155 INDICE 157
Introduzione Apollonio di Perga fu il terzo più grande matematico dell’età aurea della geometria greca. Se Euclide sistematizzò il sapere matema¬ tico e Archimede si distinse come il poliedrico genio inventore per antonomasia, Apollonio di Perga seppe unire in sé la specializza¬ zione tecnica e il virtuosismo geometrico, due virtù che nelle sue mani raggiunsero l’eccellenza. Così, quasi mezzo secolo dopo Ar¬ chimede, fiorì il terzo più grande talento dell’ellenismo, nonché l’ultimo dell’Antichità classica greca: Apollonio di Perga, chiamato il «Grande geometra», per via dei suoi innumerevoli meriti. Qualsiasi lode all’opera matematica di Apollonio è più che giustificata. Chi meglio definì la portata dei suoi contributi fu il matematico e storico spagnolo Francisco Vera Femández di Cord¬ oba (1888-1967), che nella sua opera Breve storia della geometria attribuì al sapiente greco alcuni termini che rivolse esclusivamen¬ te ai personaggi più notevoli della storia: «Le ricerche di Apollonio sono di una grandezza cosmica. La sua importanza fu manifesta nello sviluppo della meccanica celeste durante il xvii secolo. Senza gli studi del geometra di Perga, Keplero (Johannes Kepler, 1571- 1630) non avrebbe scoperto le leggi della dinamica planetaria, né Newton quelli della forza di gravità universale». Questa definizione, partorita da un consumato specialista del¬ la materia, certifica che il valore storico dei contributi matematici di Apollonio fu davvero straordinario. A fronte di tutto ciò, risulta 7
davvero sorprendente che la sua figura e la sua opera siano meno conosciute di quelle di Euclide e Archimede; una lacuna che la presente biografia intende colmare in modo piacevole e con l’umil¬ tà e il rigore necessari. Tutto ciò senza dimenticare certi fonda¬ menti, dettagli e aneddoti che, certamente, accenderanno la curio¬ sità del lettore, anche di quello che ben conosce l’inestimabile lascito dei grandi matematici greci. Euclide non ha bisogno di presentazione. È noto che negli Elementi codificò i fondamenti della geometria greca, la riga e il compasso, e stabilì il corpus centrale della totalità delle scien¬ ze matematiche elementari. Da parte sua, Archimede, nella sua opera ricca e brillante, esaltò il patrimonio matematico greco e approcciò lo studio rigoroso di una moltitudine di problemi in¬ finitesimali, che trattò con ineffabile originalità. A che cosa si dedicò Apollonio? Concisamente, concentrò la sua attività in una direzione pressoché monotematica e impiegò una sagacia magistrale nelle sue ricerche; specialmente, sulle cosiddette «se¬ zioni coniche». Approdò infatti a illuminanti scoperte circa gli elementi geometrici di tali curve: assi, centri, diametri, asintoti, fuochi, rette massime e minime - tangenti e normali - ecc. Que¬ ste scoperte lo resero il primo specialista di grande fama che la storia della geometria registra e danno piena giustificazione al suo appellativo di «Grande geometra». Mentre l’opera di Euclide si incentrò sull’ingegneria logica della geometria elementare e quella di Archimede si orientò sulla geometria della misura, con l’introduzione del concetto di «infini¬ tesimale», i lavori di Apollonio ebbero come oggetto la geometria della forma. Da qui la comparsa delle cosiddette «coordinate» nel¬ la sua opera principale: Le coniche. Questi elementi matematici sono premesse indispensabili di quella che oggi è nota come «ma¬ tematica superiore». In questo senso, Apollonio potrebbe essere considerato un «matematico puro», un virtuoso della forma. In generale, la vita e il destino dei matematici greci classici non fu particolarmente interessante, a eccezione di Archimede, la cui turbolenta vita politica, militare e scientifica, in relazione con i Romani, risultò quanto meno intensa. Apollonio, invece, si mostrò imperturbabile di fronte agli avvenimenti che gli accaddero e ri- 8 INTRODUZIONE
mase concentrato sulle sue ricerche. Per dirla con le parole del saggista austriaco Egmont Colerus (1888-1939), autore della cele¬ bre Breve storia della matematica, Apollonio fu un uomo alieno alla vita quotidiana e completamente votato al suo amore per la matematica: «L’incendio di Siracusa non l’inorridì, né arrivò a tur¬ barlo la grande inventiva di Archimede; ma si preoccupò di con¬ durre a perfezione definitiva la matematica greca, la geometria eleatica ed euclidea». Oltre a queste valutazioni, l’eccellenza che Apollonio raggiun¬ se nella sua opera fondamentale, Le coniche, mostra una capacità prodigiosa, in grado di cancellare completamente qualsiasi dubbio circa la presunta semplicità dei matematici greci. La perfezione del lavoro di Euclide e di Apollonio, come quintessenza della cul¬ tura alessandrina, suscita l’impressione che, in quel territorio ge¬ ografico e culturale, si fosse raggiunto l’apice del sapere. E così fu. E ne è prova la validità, ancora attuale, di alcune illuminate cono¬ scenze risalenti a oltre 22 secoli fa. Il suo valore, pertanto, è in¬ commensurabile. È d’uopo segnalare che le curve di secondo ordine, o sezioni coniche, erano già state scoperte da un altro matematico greco, Me- necmo, appartenente all’Accademia platonica. Menecmo le concepì come un artifìcio per risolvere il famoso «problema di Delos» circa la «duplicazione» del cubo, una questione che sarà spiegata con det¬ taglio in queste pagine. A partire da un cono circolare retto di un solo foglio, Menecmo tagliò il cono con un piano perpendicolare a una delle sue generatrici. A seconda che l’angolo al vertice fosse retto, acuto od ottuso, il geometra platonico ottenne ciò che più tardi Apol¬ lonio avrebbe denominato, rispettivamente, «parabola», «ellisse» e «iperbole», che in quel momento formavano un unico ramo. Ugualmente, le sezioni coniche furono studiate da Euclide e da un matematico suo contemporaneo, Aristeo, in due trattati in¬ titolati Luoghi solidi (nome greco per le sezioni coniche, proba¬ bilmente derivato dalla definizione stereometrica data da Menec¬ mo). Sfortunatamente, entrambi i trattati, di cui si ha notizia e di cui si conservano alcuni frammenti grazie al Tesoro dell'analisi, opera magna del matematico greco Pappo di Alessandria, sono irrimediabilmente perduti. INTRODUZIONE 9
In ogni caso, il grado di perfezione al quale giunse Apollonio non fu superato per moltissimi secoli. Lo stesso Archimede do¬ vette usare le antiche definizioni di Menecmo, nonché i teoremi presenti nei trattati sulle sezioni coniche di Euclide e Aristeo relative alle opere Sulla quadratura della parabola e II metodo relativo ai teoremi meccanici, dove necessariamente utilizzò l’espressione «sezione di cono rettangolo» per la parabola. Fu Apollonio che ebbe l’idea geniale di ottenere le tre sezioni coni¬ che a partire da un solo cono obliquo di base circolare. Come? Provando che, se si fosse fatta girare una retta intorno a una circonferenza e se si fosse mantenuto fisso uno dei suoi punti, tale retta avrebbe generato per rotazione un doppio cono, da cui si sarebbero ricavate quattro sezioni coniche, secondo l’inclina¬ zione del piano che seziona un unico cono acutangolo: l’ellisse, la parabola e i due rami dell’iperbole (e, come caso particolare dell’ellisse se il piano è orizzontale, il cerchio). In questo ambito, Apollonio battezzò le sezioni coniche coi loro nomi attuali. L’influenza storica di Apollonio, pertanto, è proporzionale alla sua insuperabile maestria. Si avvicinò perfino ad alcune teorie mo¬ derne, come quella della polarità e della generazione delle coniche per fasci proiettivi, che avrebbe definito in modo rigoroso il mate¬ matico svizzero Jakob Steiner (1796-1863), più di venti secoli dopo. Con il suo approssimarsi ai concetti di «evoluta» ed «evolvente», in relazione ai centri di curvatura, così come quelli di «involuta» e «involvente», in connessione con lo studio della variazione delle tangenti, Apollonio si avvicinò alla geometria differenziale. Benché sia giusto attribuire ad Apollonio il titolo di pioniere in molti ambiti, si deve anche sottolineare l’influenza delle sue opere nella rivoluzione scientifica, che ebbe luogo a partire dal Rinascimento; così lo riconoscono diversi saggisti e storiografi della scienza. Un altro encomio lo si deve tributare alla sua defini¬ tiva classificazione dei problemi geometrici in «piani», «solidi» e «lineari», a seconda che la soluzione richieda, rispettivamente, rette e circonferenze, coniche o altre curve superiori (come la concoide o la quadratrice). Si tratta di un’idea molto efficace per la scelta degli strumenti di soluzione adeguati. In concreto, si sup¬ pone un’estensione della glorificazione platonica della linea retta io INTRODUZIONE
e del cerchio dei «problemi piani», cosa che si tradurrà più tardi nello studio deH’incomprimibilità delle equazioni cui conducono i problemi geometrici. L’idea di adattare la categoria degli strumenti geometrici da utilizzare alla naturalezza dei problemi geometrici da risolvere, in maniera tale da applicare sempre i metodi più semplici possibili, avrebbe costituito un tratto distintivo delle future geometrie ana¬ litiche dei sapienti francesi Pierre de Fermat (1601-1665) e Carte¬ sio (1596-1650). Inoltre, tale idea avrebbe costituito un componen¬ te essenziale per il miglioramento della matematica, e avrebbe condotto tale scienza a elevarsi grazie all’eleganza e alla precisio¬ ne dei suoi procedimenti. Precisamente, l’aspetto più rilevante dell’influenza di Apollo¬ nio nell’ambito della matematica fu la sua incidenza storica sulla geometria analitica. Nello studio delle coniche, Apollonio consi¬ derò certe «linee di riferimento» (diametri coniugati o diame¬ tro-tangente), che ricoprono il ruolo di coordinate. Nel secondo caso, prendendo un diametro e una tangente in uno dei loro estremi come «rette di riferimento», le distanze medie dal diametro a partire dal punto di tangenza formarono le «ascisse» e i segmenti paralleli alla tangente, intersecata dal dia¬ metro e dalla curva, le «ordinate». Per ogni conica, la relazione tra aree e lunghezze si traduce in una relazione tra le ascisse e le corrispondenti ordinate, che Apollonio definì il sintomo della curva, che non è altro che l’espressione retorica della «equazio¬ ne analitica» della curva. Questa, nella sua evoluzione storica, avrebbe dato luogo alla «equazione caratteristica» o «proprietà specifica della curva», come la denominò Fermat nella sua In¬ troduzione ai luoghi piani e solidi. Il linguaggio di Apollonio è sintetico. Utilizzò con una perizia sorprendente la tecnica pitagorica della «applicazione» delle aree, ma i suoi metodi di coordinate rivelano una grande similitudine con la geometria analitica. I concetti e gli elementi geometrici in¬ trodotti sembrano emulare la presenza di «sistemi di riferimento con coordinate» (ascisse e ordinate), con cui si esprimono le «equazioni» delle coniche, ma questi sistemi di coordinate furono sempre sovrapposti a posteriori alle curve, per studiare le loro INTRODUZIONE 11
proprietà. Nella geometria greca, coordinate, variabili ed equazio¬ ni non erano elementi di partenza, bensì concetti accessori. Deri¬ vavano da situazioni geometriche concrete delle curve che deter¬ minavano le equazioni; e ciò senza che si verificasse la situazione inversa, cioè che le equazioni determinassero le curve, poiché queste si producono sempre mediante una costruzione stereome¬ trica (come sezioni di un solido) o in modo cinematico (come com¬ posizione di movimenti; tale è il caso della spirale di Archimede o della quadratrice di Dinostrato). In tal modo l’insieme delle curve utilizzate dai Greci fu necessariamente molto limitato. A dispetto di detti ostacoli, soprattutto l’assenza di un’algebra simbolica in senso algoritmico, l’opera di Apollonio suppose il pri¬ mo stadio nella storia della matematica nell’applicazione di «co¬ ordinate» per lo studio delle proprietà delle curve. Sebbene il di¬ scorso retorico si sostituì al simbolismo, e la costruzione geometrica alle tecniche algebriche, le relazioni tra aree e lunghez¬ ze, mediante le quali Apollonio espresse le proprietà intrinseche delle curve, furono rilevate con grande facilità. Altrettanto fecero Fermat e Cartesio, approdando all’ulteriore linguaggio dell’algebra simbolica delle equazioni e permettendo l’associazione di curve ed equazioni. Questa è la vera essenza della geometria analitica. Il lavoro di Apollonio, dunque, inaugurò la rotta storica verso un sentiero matematico brillante e fondamentale: tutto ciò mirò allo sviluppo delle geometrie analitiche di Fermat e Cartesio. 12 INTRODUZIONE
475 a.C. ca.: Dispersione della comunità pitagorica. 429 a.C. ca.: Peste di Atene. Origine mitica del problema della duplicazione del cubo. IV s. a.C.: Archita di Taranto offre alcune soluzioni al problema della «duplicazione del cubo». 350 a.C. ca.: Menecmo scopre le tre sezioni coniche (ellisse, iperbole, parabola) in relazione al problema della «duplicazione del cubo». 300 a.C. ca.: Euclide pubblica gli Elementi. 262 a.C. ca.: Apollonio nasce nella polis greca di Perga, nella regione della Panfilia. 200 a.C. ca.: Apollonio determina in Le coniche le sezioni coniche di forma stereometrica, introduce i suoi elementi essenziali (assi, diametri, tangenti, asintoti, segmenti massimi e minimi, o normali) e classifica i problemi geometrici nell’ambito pianimetrico, mediante «coordinate ed equazioni». 190 a.C. ca.: Data approssimata della morte di Apollonio. il s. a.C.: Ipsicle di Alessandria cita un’opera persa di Apollonio: Sulla comparazione tra il dodecaedro e l’icosaedro inscritti in una sfera. 150 d.C. ca.: Tolomeo pubblica YAlmagesto. 325 d.C. ca.: Pappo di Alessandria raccoglie il sapere geometrico nella sua estesa Collezione matematica, un’opera fondamentale per conoscere i lavori di Apollonio. 460 d.C. ca.: Proclo di Licia scrive i suoi Commenti sul primo libro degli Elementi di Euclide e recensisce alcune opere perse di Apollonio. 1600: François Viète pubblica Apollonius Gallus. 1629: Pierre de Fermat fa conoscere ai suoi colleghi matematici parigini VIntroduzione ai luoghi piani e solidi, fondamento della sua «geometria analitica». 1637: Cartesio pubblica il Discorso sul metodo, che include la Geometrìa, la Diottrica e le Meteore. 1675: Isaac Barrow riassume i primi quattro libri di Le coniche. 1687: Isaac Newton pubblica Principia. 1698: Antonio Hugo de Omerique pubblica Analisi geometrica. 1707: Isaac Newton pubblica Arithmetics Universalis, dove dà soluzioni analitiche ad alcuni casi del «problema di Apollonio». 1710: Edmond Halley pubblica la editio prìnceps dell’opera Le coniche, e recupera il trattato Separazione di un rapporto traducendolo dall’arabo al latino. 1837: Pierre-Laurent Wantzel dimostra che il problema della duplicazione del cubo non poteva essere risolto unicamente con riga e compasso. 1921: Paul Ver Eecke realizza l’unica traduzione completa di Le coniche di Apollonio in una lingua volgare, il francese. INTRODUZIONE 13
CAPITOLO 1 Apollonio, l’apice della geometria alessandrina Apollonio fu l’artefice di una colonna portante della matematica universale: Le coniche. L’opera si occupa della risoluzione geometrica delle equazioni quadratiche, ma tratta anche di fisica e astronomia, poiché le sezioni coniche sono anche le orbite dei pianeti e delle comete, nonché la traiettoria dei corpi pesanti. Inoltre, fu il promotore dell’utilizzo delle coordinate per la risoluzione di problemi di geometria analitica.
La maggior parte delle informazioni che si hanno sulla vita di Apollonio proviene da poche notizie che l’autore stesso inserì nelle introduzioni di alcuni degli otto libri che compongono la sua opera magna, Le coniche. Contemporaneo di Archimede, ben¬ ché più giovane, Apollonio doveva avere tra i venticinque e i qua¬ ranta anni di età quando cadde vittima dell’esercito romano, du¬ rante la Seconda Guerra Punica (212 a.C.). Come concordano i commenti e gli studi cronologici degli autori più specializzati, tra cui emergono Pappo di Alessandria, che visse nel iv secolo d.C., ed Eutocio di Ascalona (ca. 480-540 d.C.), si narra che Apollonio nacque verso l’anno 262 a.C. nella regione della Panfilia, precisa- mente nella polis greca di Perga. Oggi questa località corrispon¬ de al sito archeologico di Perge, un insieme di rovine che resiste al trascorrere del tempo nella periferia della città turca di An¬ talya, a sud del Paese, un’enclave molto turistica e bagnata dalle acque del golfo omonimo. Si stima come certo e provato che Apollonio studiò nel Mu¬ seo di Alessandria insieme ai discepoli di Euclide. Apollonio tra¬ scorse parecchio tempo nella capitale alessandrina, dove svilup¬ pò la sua fervente attività, lavorando come professore di geometria sotto i regni di Tolomeo III Evergete (246-222 a.C.) e Tolomeo Filopatore (222-204 a.C.). APOLLONIO, L'APICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA 17
Altre località che ospitarono Apollonio furono Efeso e Per¬ gamo (oggi Bergama), che attualmente appartengono alla Tur¬ chia. Buona parte della sua opera fu scritta a Pergamo, un’urbe il cui prestigio era praticamente simile a quello di Alessandria: ospitava anche una splendida biblioteca e costituiva un emporio accademico del sapere. Nelle rovine dell’antica Efeso si erge ancora la facciata centrale dalla Biblioteca di Celso. Questa mo¬ numentale e vistosa struttura, quotidianamente fotografata da numerosi turisti, fu costruita come mausoleo in onore di Tiberio Giulio Celso Polemeano (45-120), un senatore romano che si industriò enormemente per il benessere della sua città natale. La biblioteca arrivò a immagazzinare più di 10.000 rotoli. Si con¬ sidera infine che Apollonio morì ad Alessandria, vero epicentro deH’ellenismo nell’Africa del nord, verso l’anno 190 a.C. Sfortu¬ natamente, nell’attuale città egiziana non rimane alcunché del celebre museo e della biblioteca, centri di importanza capitale per il sapere universale. È un fatto bizzarro che, contro l’usanza comune, Apollonio non abbia dedicato alcun libro delle Coniche ai re di Alessandria, bensì a personaggi di Pergamo. Celebrò il sovrano Eudemo nei libri I e II, mentre il destinatario dei libri IV-VII fu Attalo (forse il re Attalo I di Pergamo, che regnò nel 241-197). A tale riguardo, lo storico e matematico belga George Sarton (1884-1956) osservò che probabilmente al tempo si verificarono contrasti tra Apollo¬ nio e le autorità del Museo di Alessandria. Come raccontò Pappo di Alessandria nella Collezione matematica, dove fece numerosi riferimenti all’opera di Apollonio, il «Grande geometra» aveva un carattere malinconico e irascibile, spesso intrattabile. In questo sen¬ so, il matematico e storico spagnolo Francisco Vera Femández de Cordoba (1888-1967) annotò che «Apollonio aveva un carattere col¬ lerico... ed era un genio dal cattivo temperamento». Il nome Apollonio era molto frequente in Grecia, motivo per cui normalmente si commettono errori di attribuzione iconogra¬ fica rispetto ad altri saggi ed eruditi greci che si chiamarono allo stesso modo: tra essi, Apollonio Rodio, Apollonio di Tralles, Apol¬ lonio di Atene, Apollonio di Tiana e Apollonio di Tiro, che citiamo solamente qui, per evitare facili confusioni. 18 APOLLONIO. LA PI CE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA
IL MUSEO E LA BIBLIOTECA DI ALESSANDRIA Nel 323 a.C, alla morte del grande conquistatore Alessandro Magno, uno dei suoi uomini di fiducia, il co¬ mandante Tolomeo I Sotere (367-282 a.C.), fu designato governatore della parte egiziana dell’Impero greco. Lì consolidò il suo potere verso il 306 a.C., e si autoproclamò faraone l’anno seguente. Tolomeo I Sotere favorì il flusso verso Alessandria dei migliori scienziati, artisti e tecnici di tutti gli angoli del mondo greco. Questo la¬ voro di mecenatismo spostò il centro // fuoco della Biblioteca di Alessandria (1876), della cultura greca da Atene ad Ales- °Pera anonima di una collezione privata, sandria, tramutata in una vera e pro¬ pria capitale della civiltà, faro della cultura scientifica e generale del Medi- terraneo. La grande vittoria di Tolomeo I Sotere fu l’aver promosso una delle istituzioni scientifiche più rilevanti di tutta la storia: il Museo di Ales¬ sandria, la cui celebre biblioteca, a lui legata, ma nel contempo indipenden¬ te. disponeva della maggiore quantità di materiale bibliografico esistente: nel suo periodo migliore, superò i 700.000 esemplari. La scienza alessan¬ drina fu molto influenzata dal sapere aristotelico, presente in gran parte dei suoi fondi bibliografici, tuttavia il museo abbandonò presto la ricerca dell’u¬ nità del sapere (un’esigenza filosofica aristotelica) in favore di una rigorosa ricerca di discipline concrete: medicina, astronomia, matematica, meccani¬ ca ecc. Grazie alla protezione della dinastia Sotere, il museo accolse sempre grandi scienziati ed eruditi specializzati in una determinata materia. È il caso di Euclide, ma anche della maggior parte dei grandi matematici suc¬ cessivi all’Accademia di Platone: per citarne solo alcuni, Aristarco, Erato- stene (che ricoprì la carica di bibliotecario), Tolomeo, Diofanto, Pappo e Teone, padre della martire Ipazia. Per questa ragione, al nome di tutti co¬ storo si accosta sempre il gentilizio «di Alessandria». Una fine indegna Altri matematici importanti, come Archimede, Nicomaco, Proclo e Apollonio, non vissero in pianta stabile ad Alessandria, ma si formarono e lavorarono in questo grande emporio scientifico. Disgraziatamente, la Biblioteca di Ales¬ sandria, parzialmente incendiata dalle truppe di Giulio Cesare nel 48 a.C., non sopravvisse ai saccheggi romani alla fine del m secolo, alla distruzione dei templi pagani del iv secolo e alla demolizione totale (con conseguente rogo dei manoscritti) durante l’invasione araba del vn secolo. APOLLONIO, L’APICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA 19
MENECMO E IL «PROBLEMA Dl DELOS» I riferimenti cui guardano Le coniche di Apollonio risiedono nello studio delle coniche realizzato da Menecmo (350 a.C. ca.), e nel cosiddetto «problema di Delos» o «problema della dupli¬ cazione del cubo». In primo luogo, Menecmo, membro dell’Ac¬ cademia platonica, fu il più celebre dei discepoli di Eudosso di Cnido (408-355 a.C.), oltre a essere maestro di Aristotele e di Alessandro Magno: a lui è attribuita l’introduzione delle sezioni coniche, cioè la scoperta di quelle particolari curve che ricevet¬ tero il nome di ellisse, parabola e iperbole. Come si vedrà, la scoperta della cosiddetta «triade di Menecmo» fu un felice ri¬ trovamento in relazione al problema di Delos o della duplica¬ zione del cubo. «I Greci scoprirono le coniche nel loro stadio primitivo all’intemo di coni o cilindri, e Apollonio le sviluppò come un mero gioco di ingegno. Quale sorpresa avrebbero avuto, quindici secoli dopo, Keplero, quando scoprì che la traiettoria del pianeta Marte è ellittica, e Galileo, quando si rese conto che la caduta delle pietre è parabolica.» — BenoIt Mandelbrot, matematico francese (1924-2010). Menecmo scoprì che per risolverlo c’era un’adeguata famiglia di curve, cioè tre tipi di coniche ottenute con lo stesso metodo: tutto ciò a partire dalla sezione di un piano perpendicolare alla generatrice di coni retti di tre tipi, a seconda che l’angolo al verti¬ ce sia acuto, retto od ottuso. Partendo da un cono circolare retto su una sola faccia ad angolo retto, scoprì che se si taglia il cono con un piano perpendicolare a una delle sue generatrici, la curva intersecante è tale che la sua «equazione» - per usare un anacro¬ nismo, in rapporto ai termini della geometria analitica moderna - si possa esprimere nel seguente modo: y1 = Ir, 20 APOLLONIO. LAPICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA
dove 1 è una costante che di¬ pende esclusivamente della distanza del vertice del cono dal piano della sezione. Si igno¬ ra come Menecmo ottenne que¬ sta proprietà, che dipende da alcuni teoremi di geometria elementare. Sicuramente utiliz¬ zò le conoscenze geometriche familiari ai matematici dell’Ac¬ cademia platonica. Sia, dunque, ABC il cono, ed EDG la curva ottenuta ta¬ gliandolo con un piano perpendicolare al punto D alla generatrice ADC del cono. Sia P un punto qualsiasi della sezione di curva e un piano orizzontale che taglia il cono nella circonferenza PVQR, es¬ sendo Q l’altro punto di intersezione della sezione di curva con que¬ sta circonferenza (figura 1). Per ragioni di simmetria risulta che i segmenti PQ e RV sono perpendicolari al punto O, cosicché OP è la media proporzionale tra RO e OV. Pertanto, OP2 = RO • OV. Allora, dalla somiglianza dei triangoli AOVD e ABCA si ottiene: OV/DO = BC/AB, e dalla somiglianza dei triangoli ASDA e AABC si ottiene: SD/AS = BC/AB. Considerando OP = y, OD = x, come «coordinate» del punto P: y2 = RO • OV, in modo che, facendo uso del parallelogramma RODS, e, pertanto, RO = SD: APOLLONIO, L’APICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA
y2 = OP2 = RO • OV = SD • OV = AS • (BC/AB) • DO v(BC/AB) = ([AS • BC2]/AB2) • x. Poiché i segmenti AS, BC, AB sono gli stessi per tutti i punti della curva EQDPG, si può scrivere Inequazione della curva» o «sezione del cono rettangolo» in questo modo: y2 = \x, dove 1 = AS • BC2/AB2 è la costante che si chiama latus rectum. Allo stesso modo, per coni con angolo acuto e ottuso al vertice, Menecmo ottenne tali espressioni: y2 = Ir - (b2/a2) • oc2, sezione di cono acutangolo, y2 = bc + (b2/a2) • oc2, sezione di cono ottusangolo, dove «a» e «b» sono costanti e il piano secante è perpendicolare a una generatrice. Si riscontra una grande similitudine tra gli sviluppi di Menec¬ mo circa espressioni equivalenti a «equazioni» e l’uso di «coordi¬ nate», cosa che induce gli storiografi ad affermare che conoscesse già certi aspetti della geometria analitica. In realtà, se si ignora il linguaggio della geometria analitica, diventa difficile spiegare la scoperta di Menecmo. Le coniche di Menecmo hanno la propria origine nei tentativi di Ippocrate di Chio (470-410 a.C.), di risolve¬ re il problema classico della duplicazione del cubo mediante l’in- terpolazione di due medie proporzionali. Quindi, consideriamo un cubo con lato «a». A partire dalla proporzione continua: a _ % _ y x ~ y ~ 2a ’ che è il risultato dell’interpolazione di due medie proporzionali tra a e il suo doppio 2a, si ottengono le parabole: oc2 - ay, y2 = 2ar, 22 APOLLONIO. L'APICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA
e, al contempo, si ottiene l’iperbole equilatera: xy = 2a2. Tanto l’intersezione delle due parabole quanto quella di una delle parabole e l’iperbole danno x3 = 2a3, cioè lato del cubo di volume doppio, come si può vedere nella figura 2. Menecmo scoprì ciò che, in linguaggio moderno, si realizza attraverso le equazioni delle coniche mediante la costruzione di punti di intersezione delle coniche ottenute. Come? Spostando in modo conveniente il piano secante il cono per trovare coniche con latus rectum, come vuole l’obiettivo proposto. Secondo le attestazioni di Proclo (412-485) ed Eutocio di Asca- lona, Menecmo fu il primo a scoprire le sezioni coniche. Ma forse non fu proprio così: in precedenza, Archita di Taranto (428-360 a.C.), un grande politico riformatore e maestro di Platone, studiò il problema della duplicazione del cubo e ottenne due medie pro¬ porzionali mediante una complessa intersezione di un cono di ri¬ voluzione, un cilindro di rivoluzione e una superficie torica. In questo modo, Archita aveva potuto studiare l’ellisse come sezione obliqua del cilindro. D’altra parte, oltre alla linea retta, un elemen¬ to che nella vita quotidiana si incontra con maggiore frequenza è la curva ellittica, giacché sia gli oggetti circolari osservati in obli¬ qua sia la loro ombra sono ellittici. In alcune occasioni si è osservata perfino un’origine delle co¬ niche attraverso ima generazione cinematica, come il caso delle «quadratrici di Ippia» e della «spi¬ rale di Archimede». Tuttavia, ciò sembra smentito di fronte alla per¬ sistenza, fino al xvii secolo, del ter¬ mine «problemi solidi». I Greci così chiamavano i problemi la cui riso¬ luzione dipende dalle coniche, come se volessero insistere su un’origine stereometrica. Le coniche oggi si definiscono come insieme di punti nel piano per APOLLONIO, L’APICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA 23
cui le distanze da una retta (direttrice) a un punto (fuoco) hanno un determinata rapporto (eccentricità). Da un punto di vista algebrico, la definizione trova una semplice applicazione nelle equazioni della geometria analitica moderna. Inoltre, la trigonometria permette, mediante la rotazione degli assi, di passare facilmente dall’equazio¬ ne dell’iperbole riferita ai suoi assi a quella riferita ai suoi asintoti. Perciò impressiona particolarmente l’abilità che dimostrò Menecmo scoprendo la più utile famiglia di curve di tutta la geometria e di tutta la scienza, pur privo di strumenti e simboli algebrici. Lo stupore aumenta se si considera che, indipendentemente della loro origine piana o stereometrica, Menecmo fu capace di vincolare entrambi gli aspetti delle coniche. Mostrò che le sezioni dei coni avevano importanti proprietà come luoghi piani, cosa che poteva tradursi in espressioni geometriche basilari (equivalenti alle attuali equazioni). Queste, a sua volta, permettevano di dedur¬ re altre innumerevoli proprietà delle coniche, che sarebbero poi state sviluppate da Apollonio di Perga nei primi libri della sua ope¬ ra maestra, Le coniche. A seguito di tale considerazione, alcuni storiografi moderni attribuirono ai matematici greci la paternità della geometria analitica, con Menecmo in testa. Infatti, stabiliro¬ no che l’essenza di questo ramo della matematica è lo studio dei luoghi per mezzo delle «equazioni». IL PROBLEMA CLASSICO DELLA DUPLICAZIONE DEL CUBO La duplicazione del cubo ha un’origine mitologica. È noto anche come il «problema di Delos», in riferimento all’isola greca omoni¬ ma, patria del dio Apollo, in cui si trovava un santuario in suo ono¬ re. Uno degli attributi divini di Apollo era la cura delle malattie: in particolare la peste, che ogni tanto decimava la popolazione greca. Questa piaga rubò le vite di numerosi ateniesi, tanto da motivare la spedizione di una delegazione all’oracolo di Apollo, nell’isola di Delos, per trovare una soluzione che risolvesse una volta per tutte quella pandemia. L’oracolo replicò che la peste sarebbe terminata 24 APOLLONIO, LAPICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA
ARCHITA DI TARANTO Archita di Taranto (428-347 a.C.) fu un esimio matematico pitagorico, che si impegnò con successo in politica e che perfino ricevette l’omaggio di Ora- zio nelle sue Odi, che lo lodò come invincibile militare. Uno dei suoi disce¬ poli fu Platone, a cui inculcò una rive¬ renza quasi sacra verso la matematica. Molto attento all’educazione, segnalò sempre il ruolo fondamentale che essa avrebbe sempre dovuto ricoprire nella formazione dei giovani. Ad Archita si attribuisce la classificazione dei quat¬ tro rami del Quadrivium medievale: l’aritmetica, che studia i numeri a ripo¬ so; la geometria, che studia le gran¬ dezze a riposo; la musica, che studia i numeri in movimento; l’astronomia, che studia le grandezze in movimento. Come geometra, fu un pioniere nella valutazione dello studio della stereometria, o geometria dello spazio tridi¬ mensionale, eredità di Platone - La repubblica -, e l’applicò in maniera sorprendente alla soluzione del problema di Delos o della duplicazione del cubo. Archita introdusse l’idea cinematica di considerare una curva gene¬ rata da un punto in movimento e una superficie generata da una curva in movimento. Quanto alla sua vita personale, si sa che salvò la vita a Platone in uno dei viaggi che il filosofo fece nella Penisola Italica, poiché interce¬ dette per lui al cospetto del tiranno Dionisio. Archita di Taranto, in un affresco nella biblioteca di San Lorenzo dell’Escorial, realizzato nel 1586 da Pellegrino Tibaldi. qualora si fosse raddoppiato l’altare cubico del dio Apollo. Imme¬ diatamente, gli ateniesi si impegnarono nella duplicazione delle di¬ mensioni dell’ara, ma ciò non risolse il problema: l’altare, lontano dal raddoppiarsi, incrementò di otto volte il proprio volume. Si decise di consultare Platone, al cui avviso la geometria era una necessità pro¬ pedeutica per chiunque. Il filosofo replicò che il dio di quell’oracolo non aveva richiesto un altare doppio per porre termine alla peste di Atene, ma aveva in realtà biasimato i Greci per la loro indifferenza e la loro mancanza di rispetto nei confronti della geometria intesa APOLLONIO. L'APICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA 25
come scienza dello spirito. I pitagori¬ ci sapevano che il quadrato costruito sulla diagonale di un altro quadrato ha un’area doppia rispetto al primo, cioè sapevano «duplicare il quadrato» mediante la costruzione della radice quadrata di 2. Questo problema ap¬ pare nel dialogo Menone, di Platone. Perciò, sembra naturale che, riferen¬ doci in generale allo spazio, si abbia la duplicazione del cubo mediante la costruzione della radice cubica di 2 (come in figura 3), che è equivalente a risolvere l’equazione xì = 2. Il primo a ricondurre il problema della duplicazione del cubo all’inserzione di due medie proporzionali fu Ippocrate di Chio (470- 410 a.C.). Dopo di lui, numerosi matematici affrontarono il proble¬ ma Per esempio, Pappo di Alessandria descrisse numerose «soluzio¬ ni» nel libro HI della Collezione matematica, ed Eutocio di Ascalona fece altrettanto nel suo Commentario a uno dei migliori trattati di Archimede, Sulla sfera e sul cilindro. I contributi più rilevanti, nonostante tutto, si dovettero a Nicomede (280- 210 a.C.), Erone di Alessandria (10-70 d.C.) e, soprattutto, Menecmo, in relazione all’in¬ troduzione delle sezioni coniche. Il problema classico continuò a ribollire nella mente dei matematici per secoli. Finalmente, nel 1837, il matematico francese Pierre-Laurent Wantzel (1814-1848), alla luce dei lavori sulle equazioni algebriche di un altro collega scomparso in età prematura, il norvegese Niels Henrik Abel (1802-1829), provò quello che si sospettava già; che il problema della duplicazione del cubo non poteva essere risolto unicamente con gli strumenti plato¬ nici, la riga e il compasso. y/2 UN CONO UNICO PER GENERARE LE CONICHE Per oltre 150 anni, le curve introdotte da Menecmo furono cono¬ sciute a partire dalla descrizione grezza risalente ai tempi della loro scoperta, cioè mediante la perifrasi «sezione (perpendicolare 26 APOLLONIO. L'APICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA
a una generatrice) di cono acutangolo, rettangolo e ottusangolo» per ellisse, parabola e iperbole, rispettivamente. Fu Apollonio in Le coniche a dimostrare che da un unico cono si possono ottene¬ re tre tipi di sezione variando l’inclinazione del piano che taglia il cono (un passo decisivo nel processo di unificazione dei tre tipi di curve). Provò inoltre che il cono non deve essere necessariamen¬ te retto. In questo modo considerò, ugualmente, il cono con due facce, che identificò con i due rami dell’iperbole. Inoltre, Apollonio coniò per i posteri i nomi di «ellisse», «pa¬ rabola» e «iperbole» per le sezioni coniche. Nella storia della ma¬ tematica, i concetti sono sempre stati più importanti della termi¬ nologia utilizzata, ma in questo caso il cambiamento di nome delle sezioni coniche ebbe un enorme rilievo. I termini adottati, in realtà, non erano nuovi, poiché provenivano dael linguaggio pita¬ gorico relativo alla risoluzione di equazioni quadratiche. Così, el¬ lisse significa «deficienza»; iperbole equivale a «eccesso» (nel lin¬ guaggio ordinario, un’iperbole è un’esagerazione) e, per ultimo, parabola significa «equiparazione». Il cambiamento di nomencla¬ tura implicò una trasformazione concettuale: le coniche non sa¬ rebbero più state descritte da un punto di vista costruttivo, bensì attraverso relazioni di aree e longitudini, che davano in ogni caso la proprietà caratteristica della definizione di curva ed esprime¬ vano le sue proprietà intrinseche. Per esempio, la nota equazione della parabola con vertice all’origine è: y2 = bc, dove 1 è il latus rectum o «parametro doppio», rappresentato da 2p. Questa espressione della parabola in forma di «equazione» sintetizza precisamente il farraginoso e lacunoso enunciato che compare in Le coniche, come una sorta di proprietà che attiene alla «sezione conica» considerata, che Apollonio battezzò con il nome di «parabola». Questo enunciato, in modo molto conciso, si può esprimere così: — La parabola ha la proprietà caratteristica secondo cui, per ogni punto preso sulla curva, il quadrato costruito sulla sua APOLLONIO, L'APICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA 27
UNA SODDISFAZIONE PER IL SANTUARIO Dl DELOS La storia leggendaria del «problema di Delos» ispirò il racconto di vari matematici, storiografi e scrittori classici, tra cui quelli dello storiografo Plutarco (46-ca.-125 ca d.C.) e del matematico Eratostene di Cirene (276-194 a.C). Quest’ultimo diresse una lettera a Tolomeo III Evergete dove ricordò le parole che un poeta attribuì al re Mi¬ nosse, provando che la tomba del suo caro figlio Glauco aveva in ognuno dei suoi lati una longitudine di cento piedi: «Scarso spazio in realtà concesso a un sepolcro reale; duplicatelo, conservando sempre la forma cubica, duplicate immediatamente ognuno dei lati». Il poeta aggiungeva che il re Minosse «si sbagliava, dato che, duplicando i lati di una figura piana, questa si quadruplica, mentre, se è solida, si moltiplica per otto», e che, come conseguenza dell’imposizione del sovrano, «si pose allora tra i geometri il problema di come potesse essere raddoppiata una figura solida qualsiasi, mantenendo la sua tipologia di origine. Questo fu il cosiddetto problema della duplicazione del cubo». In quella stessa lettera, Eratostene di Cirene spiegò l’apporto dato da Ippocrate di Chio (470-410 a.C.), che fu il primo a ricondurre il problema della duplicazione del cubo all’inserzione di due medie proporzionali: «Dopo molte titubanze fu Ippocrate di Chio il primo a scoprire che se in due rette, una il doppio dell’altra, si inseriscono due medie proporzionali, si raddoppierà il cubo; con ciò si trasformò una difficoltà in un’altra non minore». «Vi riuscì senza sforzo» La lettera di Eratostene specificò che gli abitanti di Delos, sollecitati dall’oracolo a duplicare il suo altare, si trovarono davanti alle stesse difficoltà e inviarono emis¬ sari ai geometri raggruppati attorno a Platone nell’Accademia «al fine di spronar¬ li nella ricerca del desiderio dell’oracolo». In seguito, sempre secondo il racconto, ordinata y è esattamente uguale al rettangolo costruito sull’ascissa x e il latus rectum, designato con 1. Allo stesso modo, Apollonio fece la medesima cosa per l’iper¬ bole e l’ellisse, in due proposte che scrisse in un linguaggio retori¬ co complesso e che possono essere così semplificate: Nella sezione conica considerata - chiamata iperbole -, il qua¬ drato dell’ordinata equivale a un’area rettangolare applicata secondo il latus rectum, cioè avendo il latus rectum come altezza, e l’ascissa come base, maggiorata di un’altra area si¬ mile a quella con l’asse trasverso o con il diametro come base, 28 APOLLONIO, L’APICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA
Resti archeologici della Via dei Leoni, nel santuario dell’isola greca di Delos. fece i nomi di chi «tentando di inserire in due medie proporzionali rette» trovò la soluzione teorica: Archita di Taranto, che la ottenne «con il semicilindro», ed Eu- dosso, che impiegò «certe linee curve». Eratostene di Cirene finì la lettera indican¬ do che «a essi successero molti altri, che tentarono di perfezionare le dimostra¬ zioni, ma non la realizzazione delle costruzioni e il loro adattamento alla pratica», e non lasciò luogo a dubbi nella sua postilla finale circa chi ottenne un successo totale: «Se si eccettua Menecmo, che vi riuscì senza sforzo». e la metà del latus rectum come altezza. Se si semplifica ancora di più mediante «equazioni», come nel caso della parabola, il complesso linguaggio di Apollonio, si può tradurre così: per l’iperbole, a, come per l’asse trasverso o il diametro, e b, come l’asse non trasverso. Per l’ellisse, a e ò, come gli assi. Per entrambe le coniche, l’ordinata sarà y\ l’ascis¬ sa, x\ e il latus rectum, 1. Tutto ciò può essere espresso nelle seguenti relazioni: Iperbole: yl = Lr + (ò2/a2) • x2, oppure, [(x+a)2/a2] - [yVb1] = 1. Ellisse: y1 = Lr - (ò2/a2) • oc1, oppure, [(# - a)2/a2] + [y'W] = 1. APOLLONIO, L'APICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA 29
FIG. 4 Parabola Il piano di taglio è parallelo #una sola generatrice. Ellisse Il piano di taglio non è parallelo ad alcuna generatrice. Iperbole Il piano di taglio è parallelo a due delle sue generatrici. che sono le «equazioni» dell’iperbole e dell’ellisse, rispettivamente, riferite a uno dei loro vertici come «origine di coordinate», dove concorrono come «assi di coordinate» un diametro e la tangente alla conica nel suo estremo, e dove il latus rectum è: La costruzione di Apollonio delle tre sezioni coniche median¬ te un cono unico, variando l’inclinazione del piano che taglia il cono (nel caso particolare ottenuta mediante un cono retto), è illustrata nella figura 4. IL PIANO D’OPERA DI APOLLONIO Apollonio in persona spiegò le circostanze dell’elaborazione e del¬ la composizione della sua opera nel primo degli otto libri di cui è composta. Si sa che, risiedendo ad Alessandria, ricevette la visita di un geometra chiamato Naucrate, che l’esortò a intraprendere il 1 = 2ò2/a. 30 APOLLONIO. L’APICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA
progetto. Probabilmente, Apollonio scrisse un’affrettata prima bozza delle Coniche in otto libri e, più avanti, già a Pergamo, do¬ vette limare e perfezionare il contenuto. Rivelò le sue intenzioni nell’introduzione, che dedicò a Eudemo: Dal momento che, quando ci vedemmo a Pergamo, seppi che volevi conoscere quello che ho scritto sulle coniche, ti invio, corretto, il primo libro e ti invierò gli altri non appena li avrò ripassati; credo che non avrai dimenticato quanto mi impegnai a scriverli dietro la supplica di quel geometra Naucrate, quando fu mio ospite ad Alessandria, e mi vidi obbligato a metterlo al corrente di quello che avevo redatto in otto libri, senza revisionarli, quando stava per imbarcarsi. Ora che dispongo di tempo, non li pubblicherò senza averli corretti; ma, dal momento che alcuni dei miei amici hanno i due primi senza correzioni, non ti colga impreparato trovarne modificato qualche passaggio. In tale introduzione, inoltre, Apollonio descrisse quale fosse il contenuto della sua opera, che così iniziava: Degli otto libri, i quattro primi contengono gli elementi di teoria: il primo tratta della generazione delle tre sezioni e delle opposte, così come delle sue principali proprietà che ho studiato con maggiore attenzione e di cui, in maniera più generale, si sono occupati alcuni geometri prima di me. In seguito, descrisse l’obiettivo del secondo libro, che «si riferisce a diametri, assi e asintoti delle sezioni coniche, e che tratta di alcune cose necessarie per i diorismi; qui vedrai quello che io intendo per diametri e assi». Più estesa è la descrizione del terzo libro, dove puntò alle sue scoperte. A tal riguardo, af¬ fermò che «comprende molti e molto curiosi teoremi utili per la costruzione dei luoghi solidi; ce ne sono di belli e nuovi». Le sue note sul quarto libro anticiparono la novità del lavoro realizzato, in quanto «tratta delle intersezioni delle coniche tra loro e con il cerchio, e altri temi, nessuno dei quali è stato stu¬ diato dai miei predecessori, specialmente in relazione al numero APOLLONIO. L'APICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA 31
di punti in cui una conica o una circonferenza può tagliare l’iper¬ bole». Dopo avere commentato che i libri restanti «si riferiscono alla più alta scienza: uno tratta in modo generale i massimi e i minimi; un altro ricerca le sezioni coniche uguali e simili; un altro si riferisce ai teoremi necessari per risolvere questioni determi¬ nate, e l’ultimo è dedicato ai problemi che si prestano a discus¬ sione», concluse che «per il resto, tutte queste cose non vengono pubblicate con l’intenzione di proibire a chi le approccia il dirit¬ to di apprezzarle secondo la propria opinione». «Durante la stesura di questo libro, ho compreso che la regola per costruire il luogo di tre e quattro linee [problema di Pappo] fu data dal solo Euclide, in un caso particolare e in una maniera casuale e poco felice, perché la soluzione completa esige la conoscenza dei teoremi che io ho scoperto.» — Apollonio di perga. In questo modo, Apollonio rese noto che sapeva molto più del tema delle coniche rispetto a quanto, fino ad allora, fosse noto e, soprattutto, lo realizzò in un modo molto più organizzato. Fu per tale motivo che si decise a pubblicarlo ed esplicito il conte¬ nuto della sua opera nella prefazione del Libro I. CONTENUTO E VICISSITUDINI STORICHE I primi quattro libri delle Coniche fornirono un’introduzione ele¬ mentare, benché non perfettamente organizzata, su una materia per larga parte conosciuta. Nonostante ciò, a partire dal Libro V vennero esposte le scoperte più innovative e importanti di tutta l’opera. Il Libro I parte con la generazione delle coniche. Una volta ottenute le relazioni basilari (tra cui che si aggiungono le «coor¬ dinate» di un punto della curva nel piano, espresse tramite le «equazioni» descritte in precedenza), mediante considerazioni 32 APOLLONIO, LAPICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA
stereometriche spaziali, Apollonio si dedicò a studiare con me¬ todi pianimetrici le proprietà fondamentali delle coniche. Lo fece includendo tangenti e diametri coniugati, a partire da quelle «equazioni» piane e ovviando ogni riferimento esplicito al cono generatore. Apollonio usò in modo sistematico un paio di dia¬ metri coniugati o un diametro e una tangente come equivalente di un «sistema» di coordinate oblique, dimostrando che se si abbozza una retta per un estremo di un diametro di un’ellisse o di un’iperbole, parallela al suo diametro coniugato, la retta trac¬ ciata è tangente alla conica. Il «sistema di riferimento» diame¬ tro-tangente dimostra un’utilità molto significativa di fronte all’invarianza dell’«equazione» della conica in occasione di un «cambiamento di riferimento» diametro-tangente di un punto a un altro punto della conica. Da parte sua, il Libro II abbonda di nuove proprietà, offre un studio esaustivo sugli asintoti dell’iperbole e studia il problema di tracciare una tangente che formi un angolo dato col diametro che passa per il punto di contatto. Il Libro III tratta in primo luogo le proprietà di triangoli e quadrilateri determinati da tangenti e diametri coniugati e altre proprietà delle tangenti. Si studia l’iperbole come luogo di punti, tale che xy = costante, dove x e y sono ascissa e ordinata rispetto agli assi costituiti dagli asintoti. Di seguito, Apollonio studiò una serie di interessanti proprietà focali che permettono il tracciato delle coniche mediante una composizione di movimenti continui e, inoltre, servono per definirle in modo pianimetrico come «luoghi geometrici». In quanto al Libro IV, le sue pagine accolgono lo stu¬ dio dei punti di intersezione delle coniche ed esibiscono un meto¬ do di tracciare due tangenti una conica da un punto. Il Libro V è uno delle principali opere maestre della geometria greca. È dedicato ai «segmenti massimi e minimi», cioè alla distan¬ za massima e minima di un punto da quelli di una conica (le rette normali). Senza dubbio, in questo libro alberga il germe della teo¬ ria di evolute ed evolventi, che si trova in Horologium oscillato- rium (1673), opera del fisico, astronomo e matematico olandese Christiaan Huygens (1629-1695). Intuendo il concetto di curvatura, Apollonio si situò alla base della geometria differenziale. APOLLONIO. L'APICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA 33
Dopo essere ricorso a metodi puramente sintetici, ottenne l’evoluta delle coniche come luogo dei centri di curvatura, me¬ diante la determinazione del numero di normali distinte da ogni punto. Inoltre, costruì la normale a una conica da un punto ester¬ no, mediante l’intersezione della conica data con un’iperbole equilatera, chiamata «iperbole di Apollonio», associata al punto. Lo splendore di questo quinto volume non appanna l’impor¬ tanza dei seguenti. Il Libro VI è dedicato all’uguaglianza e alla somiglianza delle coniche e, durante il suo sviluppo, Apollonio risolse un problema rimarchevole: dati una conica e un cono circolare retto, trovare una sezione del cono che sia uguale alla conica data. Il Libro VII riferisce numerose proprietà dei diame¬ tri coniugati; tra esse, si sottolineano la costanza della somma nell’ellisse e la differenza nell’iperbole dei quadrati dei diametri coniugati. Le congetture sul Libro Vili riporterebbero a nuovi problemi su diametri coniugati e la risoluzione di questioni pen¬ denze nei libri precedenti. Sfortunatamente, degli otto libri delle Coniche di Apollonio si conserva solamente il testo greco originale dei primi quattro. I tre seguenti sono noti grazie alle traduzioni arabe, mentre l’ot¬ tavo ed ultimo è irrimediabilmente perso. L’influenza di Apollo¬ nio fu decisiva sui geometri greci e orientali successivi (Arabi e Persiani), che di frequente commentarono il trattato Le coniche. Il primo studioso di Apollonio fu Pappo di Alessandria, che commentò buona parte della sua opera nel Tesoro dell’analisi, del libro VII della sua Collezione matematica. Da parte sua, Se¬ reno Antisense (ca. 300-ca. 350) scrisse un opuscolo, ora perso, che apparentemente completava i teoremi di Apollonio relativi all’ellisse. Più tardi, Suda o Suida, un lessicografo greco del x secolo, affermò nel suo noto Lessico che Ipazia di Alessandria (m. 415 d.C.), si occupò delle Coniche fino a che non morì lapidata per mano della plebe. Ugualmente, si dichiara anche il Commentario di Eutocio di Ascalona. Dopo una lunga parentesi, l’interesse per l’opera di Apollonio rinacque per mano dei saggi orientali che la diffusero in Occidente, tra il ix e il xm secolo, tradotto dall’arabo. Nel xii secolo apparve la prima versione completa delle Coniche 34 APOLLONIO, L'APICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA
GLI ELEMENTI DI EUCLIDE Gli Elementi, l’opera massima del geometra platonico Euclide, presenta una magnifica struttura di ingegneria logica e matematica, imbastita in 465 assiomi, tutti veri, che hanno resistito l’implacabile prova del tempo. Nes¬ suna altra opera scientifica coetanea resiste minimamente al paragone con gli Elementi, che segna una delle pietre miliari più importanti della storia della cultura, la scienza e il pensiero. Come codificazione dei fondamenti della geometria elementare, la geometria della riga e compasso, stabilì un ferreo paradigma di esposizione e dimostrazione in matematica. Eretta come un’opera maestra canonica, vigente e insuperata per 2300 anni, è stato per professionisti e simpatizzanti della matematica, lettura dietro lettura, una fonte inesauribile di risorse geometriche, di fruizione intellet¬ tuale e di piacere supremo per la sua acutezza, l’ingegno mostrato e un’e¬ legante argomentazione matematica. Gli Elementi di Euclide è il libro mag¬ giormente pubblicato, dopo la Bibbia, e costituì, con un’autorità indiscussa, il corpus della dottrina centrale della totalità delle scienze ma¬ tematiche elementari fino alla metà del xix secolo, così come il principale veicolo di trasmissione del sapere matematico fino a metà del xx secolo. Ancora oggi, costituisce il nucleo essenziale del¬ la matematica elemen¬ tare che determina gran parte della tematica scolare basilare e se¬ condaria. Papiro con un frammento degli Elementi di Euclide, trovato nel giacimento egiziano di Ossirinco. in latino, grazie al più fecondo traduttore della scuola di Toledo: Gherardo da Cremona (1114-1187). Il primo testo greco delle Coniche riapparve in Occidente nel 1427, grazie all’umanista ita¬ liano Francesco Filelfo (1398-1481). Nel 1675, il professore e matematico britannico Isaac Barrow (1630-1677) pubblicò un manuale di geometria che condensò in modo canonico i primi quattro libri delle Coniche. APOLLONIO. L'APICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA 35
Tuttavia, lo sforzo di questi eruditi per offrire la traduzione più fedele dei primi quattro libri non colmò il vuoto dei quattro volumi sconosciuti che mancavano. Alcuni geometri cercarono di ricostruirli, come Vincenzo Vi- viani (1622-1703), il cui Libro V ampliò notevolmente la cono¬ scenza che esisteva sui risultati di Apollonio. Nel 1658, il geome¬ tra italiano Borelli trovò un manoscritto arabo, datato al 994, che riassumeva i libri V, VI e VII, e che fu tradotto dal latino ed edito nel 1661. Pochi anni più tardi, successe altrettanto con un mano¬ scritto simile, quello che stimolò l’appetito degli scienziati: se si erano trovati tre libri, benché in modo parziale e in arabo, perché non l’ottavo e ultimo? Alla fine, le speranze svanirono: il Libro Vili non comparve mai. Nel 1710, l’astronomo e fìsico britannico Edmond Halley (1656-1742) regalò al mondo quella che si consi¬ dera l’edizione principe di Le coniche. UN’OPERA CAPITALE PER LA GEOMETRIA Per poco interessato e informato che sia sulle questioni più pro¬ fonde della geometria, nessuno si può meravigliare che si parli deH’importanza della circonferenza. Non solo è la più semplice delle coniche, la quintessenza della regolarità e la simmetria, ma è profondamente radicata in natura e nel progetto. Con maggiore intensità pensava a essa l’uomo dell’antichità, che immaginava che i corpi celesti girassero su orbite circolari. E cosa dire della vita quotidiana attuale, con il giro delle porte, delle ruote, delle colonne o del compasso come strumento basilare? Apollonio ebbe motivi profondi per sviluppare la propria teoria delle sezio¬ ni coniche, la quale spinse storicamente a: a) La risoluzione di equazioni quadratiche, che dall’epoca pitagorica si erano sviluppate come «algebra geometrica» con la cosiddetta «applicazione delle aree». b) Il gruppo dei «tre problemi classici» («quadratura del cerchio», «trisezione dell’angolo» e «duplicazione del 36 APOLLONIO, LAPICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA
HALLEY IMPARÒ L’ARABO PER TRADURRE APOLLONIO Edmond Halley, in un ritratto realizzato verso il 1687 da Thomas Murray. Il nome dell’astronomo e fisico britannico Ed¬ mond Halley (1656-1742) è abbastanza noto al grande pubblico a causa di una famosa come¬ ta che orbita attorno al Sole approssimativa¬ mente ogni 77 anni. Invece, si conosce molto meno, perfino in ambiti accademici, la devo¬ zione che ebbe Halley per l’opera di Apollonio di Perga, tanto che si propose di realizzare la migliore traduzione possibile dei sette libri conservati delle Coniche. Halley cominciò il compito nel 1704 e la sua determinazione fu talmente grande che decise di imparare l’ara¬ bo per tradurli egli stesso. Sei anni dopo, i suoi sforzi e il suo talento si videro ricompensati con la pubblicazione di un lavoro che risultò magistrale. La prima parte raccoglieva il testo greco dei primi quattro libri, la versione latina corretta di Federico Commandino, i testi greci di Pappo ed Eutocio e i testi greci e le sue versioni in latino. La seconda parte può essere definita semplicemente sensazionale: non solo offriva la sua tradu¬ zione in latino dei Libri V, VI, VII, basata sulla versione araba di Thabit ibn Qurra, ma anche una ricostruzione congetturale del libro perso, l’anelato Libro Vili, che realizzò egli stesso. La terza e ultima parte, complementare, conteneva i libri di Sereno Antisense sulla sezione del cilindro e del cono, nel suo originale greco e nella sua traduzione latina. Come curiosità, bisogna segnalare che nell’illustrazione del frontespizio delle Coniche tradotte da Halley appaiono alcuni naufraghi che contemplano sui bordi le figure sulle iperboli di Apollonio, sotto cui si legge in latino «Aristippo, filosofo socra¬ tico essendo naufragato nel mare di Rodi, e avendo osservato nella spiag¬ gia figure geometriche, si dice che esclamò davanti ai suoi compagni: rima¬ niamo ben speranzosi, poiché vedo orme di uomo». Questi termini che elevano la geometria a scienza dello spirito e segno di civiltà, furono presi da Halley dall’opera De Architecture, di Vitruvio. cubo», la cui risoluzione esigeva equazioni di un grado superiore al secondo. Questi problemi furono sollevati dall’Accademia platonica, che notò la necessità di applicare intersezioni di diverse sezioni coniche. Come abbiamo segnalato nel caso della duplicazione APOLLONIO. L'APICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA 37
del cubo, questi avevano condotto Menecmo alla sua scoperta. Nonostante ciò, ci sono molti più motivi per cui le sezioni coniche di Apollonio occupano un posto di privilegio in geometria tra tutte le possibili curve: a) Dalla sua definizione, data da Apollonio, si sa che rappre¬ sentano in modo completo tutto il campo delle equazioni di secondo grado. b) Le sezioni coniche sono le orbite dei pianeti e delle co¬ mete, le forme dei corpi celesti di rotazione e la traietto¬ ria dei corpi pesanti. c) L’importanza trascendentale delle coniche poggia sul fat¬ to che la principale capacità di percezione dell’uomo ri¬ siede nell’occhio. I raggi luminosi che vi penetrano e che partono da lui per formare la visione formano un cono secondo le leggi della rifrazione e della convergenza di una lente biconvessa. Tutta l’immagine che arriva loro mediante quel cono di raggi si presenta sotto forma di una sezione conica. Tutto il mondo visibile è un «univer¬ so di sezioni coniche». Il punto di partenza storico di tutto questo spiegamento di conoscenza geometrica, che culminerebbe nella geometria pro¬ gettuale del xix secolo, non fu un altro che merito di Apollonio, che si occupò dei raggi riferendoli alle sezioni coniche. IL TEMUTO INFINITO E LA FINZIONE DELLE PARALLELE Le coniche rivoluzionò la geometria classica, poiché fece trabal¬ lare i postulati di Euclide e suscitò grandi «provocazioni geome¬ triche», come l’insinuazione dell’infinito e dell’irrealtà ottica delle parallele. Nello studio delle sezioni coniche, gli asintoti sono due rette che, in certe proposizioni, continuano ad avvici¬ narsi in modo progressivo, sempre di più, verso l’infinito, alle due braccia dell’iperbole; però senza arrivare mai a toccarsi, 38 APOLLONIO, L'APICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA
FOTO IN ALTO Resti dell’agorà di Perga nella periferia della città turca di Antalya. Questa fu la culla natale di Apollonio. FOTO IN BASSO A SINISTRA Grande busto di Alessandro Magno nel Museo Archeologico di Antalya, dove si conserva l’arte ellenistica di Perga. FOTO IN BASSO A DESTRA: Statua ritrovata a Perga del dio Hermes, messaggero divino e protettore del commercio e della fecondità. APOLLONIO, L'APICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA 39
come lo fa una tangente, o a secarsi, come fa una secante. Sicu¬ ramente scoperte da Apollonio, la loro semplice esistenza agitò il fantasma dell’infìnito. Eudosso aveva introdotto un palliativo davanti alla presenza dell’incommensurabile, quell’«avvicinarsi tanto quanto si desideri» presente nella Teoria della proporzio¬ ne e nel Metodo di esaustione di Euclide. Ma in questo nuovo ambito geometrico non serviva più, perché con gli asintoti... dove finisce tale «avvicinamento»? Si presentò anche un altro problema legato al «postulato» del¬ le parallele. Ora, tra le linee che si tagliano e quelle che si manten¬ gono sempre alla stessa distanza, c’era una terza classe di linee, inopportuna e sconveniente, che non si intersecano né si manten¬ gono sempre alla stessa distanza tra loro. Secondo l’espressione euclidea, il continuo avvicinamento di due linee era condizione necessaria e sufficiente per la sua intersezione, mentre una distan¬ za costante lo era per il parallelismo. All’improvviso, con gli asin¬ toti, neanche con l’avvicinamento continuo si arrivava necessaria¬ mente in tutti i casi a un punto di intersezione. Bisogna obiettare che in Euclide si trattava di due rette, mentre con gli asintoti si lavorava con una curva e una retta che possono seguire perfetta¬ mente leggi differenti dal caso di due rette. La comparsa degli asintoti obbligò la geometria a porre in discussione per secoli il postulato delle parallele. Questo contrad¬ dice l’evidenza dei sensi. Il mondo della percezione visuale, «il mondo delle sezioni coniche», non conosce le parallele. Nessuno che contempli il mondo reale le ha mai viste. Sono una condizione creata dall’uomo, una finzione, e non una realtà ottica. Con Apol¬ lonio, pertanto, terminò l’epoca eroica della matematica greca, e si fece largo la discussione su dubbi essenziali per la scienza. Que¬ sti, approcciati con spirito critico e rigoroso, sono una porta aper¬ ta ai più grandi avanzamenti e progressi, e non sporadicamente conducono alla conoscenza. E Apollonio, come tutti i grandi ma¬ tematici, iniziò a porsi domande. 40 APOLLONIO, L’APICE DELLA GEOMETRIA ALESSANDRINA
CAPITOLO 2 L’ultimo prodigio della geometria greca: Le coniche Le coniche è una colonna portante della geometria di misurazione, con un linguaggio e uno sviluppo tanto belli quanto complessi. Dei sette libri conservati che la compongono, nei primi tre vengono definiti e dimostrati, mediante proposte e teoremi alcune proprietà, della parabola, dell’iperbole, dell’ellisse e dei due rami dell’iperbole. Vengono approfonditi anche gli elementi geometrici legati alle tre sezioni coniche.
Tutta la geometria comprende due grandi capitoli: la geometria di misurazione e di posizione. Entrambe, nelle loro linee elementari, sono sviluppate negli Elementi, l’opera principe di Euclide. Al con¬ trario, le parti più complesse della prima si trovano nel lascito matematico del più illustre scienziato dell’Antichità, Archimede, mentre il più celebre rappresentante della seconda è Apollonio, creatore delle Coniche. Senza dubbio, l’importanza capitale di quest’opera per la matematica, e in concreto per la geometria, me¬ rita di vedere approfonditi i suoi contenuti in modo esaustivo: solo così si potranno comprendere, nella loro totalità, i contributi che realizzò il geometra di Perga. Il compito è arduo, poiché il testo originale, come si è segnalato, presenta una difficoltà estrema, con passaggi molto densi e tali da scoraggiare chiunque, soprattutto chi non possiede un elevato livello matematico e una grande pa¬ zienza; due virtù che non vanno sempre a braccetto. Questa ragione è proprio ciò che ci spinge a offrire qui, in onore della chiarezza, uno sforzo di semplificazione del conte¬ nuto delle Coniche, per adattare l’opera al linguaggio attuale. Lo scopo è fare in modo che il lettore conosca i contributi di Apol¬ lonio in modo più diretto, senza complicazioni addizionali, così da apprezzarli in tutta la loro bellezza; e alla fine, comprenderli senza riserve e poterli incorporare nelle proprie conoscenze ma¬ tematiche. L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 43
In questo capitolo, pertanto, si approcceranno in maniera dettagliata i tre primi libri che compongono Le Coniche, con le loro estensioni, definizioni e affermazioni. I libri seguenti, come è logico, troveranno spazio nei capitoli successivi. IL LIBRO I DELLE «CONICHE» Il Libro I delle Coniche contiene 60 proposizioni e comincia con 8 definizioni relative alla generazione delle superfici e del volume dei coni retti e obliqui, dei diametri coniugati e degli assi delle linee curve. La definizione 1 fu redatta in questi termini, dove il «Grande geometra» specificò il senso che voleva dare a «super¬ fìcie conica», «vertice» e «asse» della stessa: Se da un punto non situato sul piano di un cerchio si traccia dalla sua circonferenza una retta, la si prolunga nelle sue due direzioni e, sempre fermo il punto, si fa percorrere alla retta una circonfe¬ renza fino a che non ritorni alla sua posizione iniziale, definisco «superficie conica» l’area che, descritta dalla retta, è composta di due superfici con vertice opposto, che si estendono all’infìnito, esattamente come la retta generatrice; e chiamo «vertice» della superfìcie il punto fìsso, e «asse» la retta tracciata da questo e dal centro del cerchio. Le definizioni 2 e 3 vertono sul cono. La prima di esse la si ritrova nelle parole dello stesso Apollonio: Chiamo «cono» la figura delimitata dal cerchio e dalla superfìcie conica compresa tra il vertice e la circonferenza del cerchio; «ver¬ tice» del cono è lo stesso della sua superfìcie; «asse» è la retta tracciata dal vertice al centro del cerchio, e «base» è quest’ultimo. Quanto alla definizione 3, Apollonio denominò «cono retto» quello che ha l’asse perpendicolare alla base, e «obliquo» quello che non l’ha. 44 L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA' LE CONICHE
Le definizioni 4, 5 e 6 si incentrano sul concetto di «diame¬ tro». Di seguito, inseriamo due note chiarificatrici per la defini¬ zione 4; per tutto il resto bastano le parole che usò il matemati¬ co alessandrino: Chiamo «diametro» di ogni linea curva situata in un solo piano la retta che, tracciata nella curva, divide in due parti uguali tutte le parallele a una retta qualunque nella curva; «vertice» di questo l’estremo di quella retta [cioè, del diametro] situata nella curva, e, infine, chiamo «rette tracciate ordinatamente al diametro» [che oggi si chiamano «ordinate»] le parallele. La definizione 5 prosegue così: Allo stesso modo, definisco anche «diametro» di due linee curve situate in uno stesso piano, da un canto, la retta trasversale che, tagliando queste due linee, divide in due parti uguali le parallele a una retta qualsiasi in ogni curva; e «vertici» di questo gli estremi del diametro che si trovano in esse. Dall’altro lato, chiamo «dia¬ metro» la retta che, situata tra entrambe le curve, taglia in due parti uguali tutte le parallele a una retta qualsiasi intercettata dal¬ le linee, e, infine, definisco «ordinate» le parallele. Nella definizione 6, Apollonio segnalò che dava il nome di «diametri coniugati» di una e di due linee curve «alle rette che rappresentano un diametro che divide in due parti uguali le pa¬ rallele all’altro». Ugualmente, nella definizione 7, che precisa anche una nota chiarificatrice, stabilì: Chiamo «asse» di una e di due curve il diametro di questa o di queste curve che taglia le parallele [cioè, il diametro coniugato a questo asse] ad angolo retto. Infine, nella definizione 8 disse che chiamava «assi coniugati» di una e di due curve i diametri coniugati che tagliano reciproca¬ mente ad angolo retto le sue parallele. L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 45
La figura 1 contribuisce a visualizzare alcuni dei concetti espo¬ sti in queste definizioni. LE PRIME TRE PROPOSIZIONI Le prime tre proposizioni del Libro I delle Coniche, che conside¬ rano la sezione del cono un piano che passa per il suo asse, sono relative al triangolo assiale principale del cono. Le due seguenti proposizioni dimostrano che in un cono obliquo a base circolare, ogni sezione parallela alla base è un cerchio. Le proposizioni che seguono mostrano curve generate in questo modo: a) Per il piano secante che taglia tutte le generatrici su una stessa superficie del cono. b) Per il piano secante parallelo a una delle generatrici. c) Per il piano secante che taglia le due superfici del cono. Queste proposizioni apportarono l’importante nozione di «pa¬ rametro» che Apollonio denominò «lato retto» e che i geometri 46 L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE
rinascimentali designarono per lungo tempo come latus rectum. Fornirono anche, in seguito, le nozioni di ascissa e di ordinata, e dimostrarono «la costanza del rapporto del quadrato dall’ordinata all’ascissa», per la curva generata dal piano secante parallelo a una delle generatrici del cono. Come si è già detto, tanto i matematici dell’Accademia pla¬ tonica quanto Aristeo, Euclide e Archimede avevano considera¬ to le tre sezioni coniche, in modo esclusivo, come sezioni piane, perpendicolari a una generatrice, dei coni retti acutangolo, ret¬ tangolo e ottusangolo. Per questo motivo, nelle opere di Archimede la parabola fu designata ancora con l’espressione «sezione di cono retto ret¬ tangolo»; l’iperbole con «sezione di cono retto ottusangolo», e l’ellisse con «sezione di cono retto acutangolo». Fu Apollonio che presentò per la prima volta le tre sezioni coniche ottenute da sezioni piane di uno stesso cono, retto od obliquo, a base circolare. La priorità assoluta di questa concezione generale di otte¬ nere le tre sezioni coniche è attribuita al geometra Gemino di Rodi, un matematico e astronomo greco del i secolo a.C. del quale si sa che citò l’isola greca in qualche suo lavoro, e a Euto- cio di Ascalona, benché sia molto probabile che in qualche caso particolare tanto Euclide quanto Archimede avrebbero ottenuto qualcuna delle sezioni coniche allo stesso modo di Apollonio. Quello che sembra indiscutibile è che si devono ad Apollo¬ nio le denominazioni di parabola, iperbole ed ellisse, che si so¬ stituirono alle farraginose circonlocuzioni menzionate. Sebbene queste corrispondessero fedelmente e razionalmente a come sono generate le tre sezioni coniche, Apollonio dovette tenere in conto come la loro reiterazione complicasse oltremodo il testo delle dimostrazioni di Archimede. Giudiziosamente, Apollonio creò la nuova nomenclatura che legò, in forma filologica, le ca¬ ratteristiche semantiche dei termini con le proprietà di ognuna delle tre curve, proprietà che avrebbero posto in evidenza le equazioni cartesiane. A questo riguardo sono illuminanti le considerazioni che fece lo storico statunitense Cari Beqjamin Boyer (1906-1976), specia- L’ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 47
ARCHIMEDE, UN GENIO POLIEDRICO E UNIVERSALE Archimede, considerato il matematico più importante dellAntichità, aveva la capaci¬ tà di sintetizzare due nature distinte per trovare la migliore via alla volta della co¬ noscenza. Questa virtù gli permise, per esempio, di moderare la poderosa imma¬ ginazione trascendentale di Platone con la condotta meticolosa e corretta di Euclide. Si distinse nella storia della cultura, della scienza e della tecnologia come uno dei saggi più eminenti, fu l’artefice di moltepli¬ ci congegni costruiti grazie alla sua por¬ tentosa immaginazione, e pertanto fu ri¬ conosciuto come il primo ingegnere dell’Antichità. Inoltre, i suoi contributi alla statica e all’idrostatica, è considerato an¬ che il fondatore di queste scienze e, di con¬ seguenza, l’antico progenitore di quelle discipline che, venti secoli più tardi, avrebbero adottato il nome di filosofia naturale e fisica matematica. Nel campo stretto della matematica, Archi- mede è considerato come il più originale, rigoroso e prolifico dei geometri greci, poiché ampliò in modo colossale il patrimonio geometrico euclideo e coniugò alla perfezione l’intuizione con la scoperta e il virtuosismo con la dimostrazione. Si attribuisce ad Archimede l’origine storica del calcolo integrale, dove il suo punto di partenza fu la congiunzione di due metodi: uno, euristico ed empirico, l’altro, rigoroso ed apodittico. Così, il suo «me¬ todo meccanico» di ricerca puntò verso gli indivisibili e gli infinitesimali delle quadrature che, nel xvn secolo, avrebbero favorito il calcolo di Newton e Leibniz; infine, il suo «metodo dimostrativo assoluto» punto all’aritmeti¬ ca dei limiti, che è la base dell’analisi moderna del xix secolo. «Tra tutti i grandi uomini dell’Antichità» Parafrasando la celebre frase attribuita a Newton, si può rendere omaggio ad Archimede definendolo come uno straordinario titano sulle cui spalle si sollevarono i giganti matematici del xvn secolo per forgiare uno degli strumenti scientifici più potenti di tutta la storia del pensiero matematico: il calcolo integrale. Per tutto ciò, non stupisce che l’enciclopedista france¬ se Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert (1717-1783), nel suo Discorso preli¬ minare sull’Enciclopedia, elogiasse il genio di Siracusa con questa massima: «Tra tutti i grandi uomini dell’Antichità, è Archimede quello che più merita figurare al fianco di Omero». Archimede pensoso, di Domenico Fetti (m. 1623). 48 L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA LE CONICHE
lizzato in storia della scienza, nella sua famosa opera Storia della Matematica: Non c’è dubbio che nel corso della storia della matematica i concetti siano stati molto più importanti della terminologia utilizzata, ma, cio¬ nonostante, il cambiamento di nome delle sezioni coniche dovuto ad Apollonio ha avuto un’importanza maggiore della norma Per appros¬ simativamente un secolo e mezzo, queste curve non ebbero un altro nome specifico, ma nient’altro che nude descrizioni del modo in cui erano state scoperte. Fu realmente Apollonio, probabilmente seguendo un suggerimento di Archimede, che introdusse per la prima volta i termini di ellisse e di iperbole in relazione a queste curve. Boyer pose l’accento sul fatto che le parole «ellisse», «parabola» e «iperbole» non erano state coniate per l’occasione, bensì «adattate a partire da un uso precedente, dovuto magari ai pitagorici, per la soluzione di equazioni quadratiche attraverso il metodo di applica¬ zione delle aree». Lo storico precisò che il termine ellisse rimanda a una «deficienza» e delimitò il suo uso a un contesto molto concreto: «quando un rettangolo dato si doveva applicare su un segmento dato e risultava scarso in un quadrato o in una figura [o in un’altra figura data]». Circa la parola iperbole («andare oltre») commentò che era stata adottata per il caso «in cui l’area eccedesse rispetto al segmen¬ to dato»; e sulla parola parabola («collocare a lato» o «paragonare»), segnalò che «indicava che non esisteva deficienza né eccesso». «Il livello più avanzato delle sezioni coniche nelle Coniche di Apollonio spiazzò tutti i suoi rivali in questo campo.» — Carl B. Boyer. Dalle proposte di Apollonio comparve la nota equazione mo¬ derna della parabola con vertice nell’origine e con asse nell’asse delle ascisse, che è la seguente: y2 = Ir, dove «1» è il latus rectum o parametro, che normalmente si rap¬ presenta con 2p e talvolta con 4p. L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 49
Cioè, la parabola ha la proprietà caratteristica per cui, per ogni punto preso sulla curva, il quadrato costruito sulla sua or¬ dinata ed è esattamente uguale al rettangolo costruito sull’ascis¬ sa x e il parametro «1». Le equazioni dell’ellisse e dell’iperbole, riferite in modo ana¬ logo a uno dei suoi vertici come origine, sono: {x ± a)2 y = 1 oppure y = Lr ± bV dove «1» è di nuovo il latus rectum o parametro 2b2/a. Cioè, nel caso dell’ellisse: y2 < Lr, mentre, per l’iperbole, y2 > Lr, Come si può ora comprendere, Apollonio di Perga raffinò considerevolmente lo studio delle coniche. In realtà, apportò una semplificazione e una sistematizzazione che risultarono decisive per sbrogliare il groviglio esistente. E non solo: favorì anche un impiego più razionale di queste risorse geometriche e, con ciò, aprì la porta ai perfezionamenti e alle applicazioni pratiche che sarebbero arrivati molti secoli dopo. Le Coniche, oltre al suo merito totalizzante, contengono ma¬ teriali sommamente originali e ingegnosi, organizzati in maniera eccellente. Senza dubbio, si tratta di una costruzione geometrica monumentale, un’opera che presuppose il culmine della geome¬ tria greca e sviluppò il tema in modo definitivo anche per il pen¬ siero matematico successivo. LE PROPOSIZIONI PIÙ IMPORTANTI Le proposizioni più importanti di tutto il Libro I sono quelle deno¬ minate 1.11,1.12,1.13. La loro lettura risulta difficoltosa, a causa 50 L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA LE CONICHE
della quantità di spazio loro concesso e per via della loro intrinse¬ ca complessità: vengono infatti descritte le proprietà fondamenta¬ li della parabola, dell’ellisse e dell’iperbole, che Apollonio fece derivare dalla considerazione stereotomica delle curve. La prima di queste proposizioni, il teorema della parabola, offre subito diverse difficoltà di interpretazione e comprensione, che si incrementano ancora più con il teorema dell’iperbole e che raggiungono l’apice nel teorema dell’ellisse. Nonostante ciò, è es¬ senziale leggere distintamente le spiegazioni allegate a seguito dell’esposizione nuda di ognuna di esse, senza intrattenersi troppo nel linguaggio del saggio alessandrino. In ogni caso, queste consi¬ derazioni non recano demerito alle fenomenali scoperte di Apol¬ lonio di Perga, ma invitano a contestualizzare il linguaggio del suo tempo per poterlo semplificare e allineare a quello che si usa og¬ gigiorno in matematica. IL TEOREMA DELLA PARABOLA Questo teorema corrisponde alla proposizione 1.11, che, con le parole di Apollonio, presenta il seguente enunciato, la cui risolu¬ zione rimane illustrata nella figura 2: Se si taglia un cono con un piano che passi per l’asse e con altro che tagli la base perpendicolarmente a quella del triangolo secondo il suo asse, se il diametro della sezione è parallelo a uno dei lati del triangolo, il quadrato di ogni retta tracciata dalla sezione del cono parallelamente all’intersezione del piano secante e quello della base del cono fino al diametro della sezione - cioè il quadrato dell’ordina¬ ta di un punto della sezione - equivale al rettangolo formato dalla retta che separa il diametro dalla parte del vertice della sezione; equivale anche al rettangolo formato da una determinata retta, poi¬ ché è l’area tra l’angolo conico e il vertice della sezione, che è la stessa di quella del quadrato della base del triangolo secondo l’asse del rettangolo formato dagli altri due lati del triangolo. Chiameremo parabola tale sezione. L’ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 51
FIG 2 A Non meno difficile il seguito, la cui lettura può lasciare prati¬ camente senza respiro: Sia un cono di vertice A e per base il cerchio BG: tagliamolo con un piano che passi per l’asse, che produrrà come sezione il trian¬ golo ABG, e con un altro piano che tagli la base del cono secondo la retta DE perpendicolare alla base BG del triangolo ABG, e che tagli ugualmente la superficie conica secondo la linea DZE, il cui diametro ZH è parallelo al lato AG del triangolo che passa per l’asse; tracciamo dal punto Z la perpendicolare ZT a ZH e facciamo in modo che la retta ZT stia a una data retta ZA come il quadrato di BG al rettangolo formato da AB e AG e, infine, da un punto K qualsiasi della sezione, tracciamo la parallela KL a DE. Affermo che il quadrato di KL equivale al rettangolo di ZT e ZL. Tanto l’enunciato quanto la dimostrazione di Apollonio, come si può vedere, sono abbastanza astrusi. Fortunatamente, l’algebra letterale può venirci in soccorso. Nel cerchio di diame¬ tro MN si ha: kl2 = lm ln, 52 L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE
che, per costruzione, è: ZT BG2 BG BG ZA AB AG AB AG’ dei triangoli simili (AMN, ABG, ZML), da cui risulta: BG MN ML LN BG MN ML AB AM ZM AZ’ AG NA LZ * La seconda uguaglianza si converte in: ZT _ LN ML _ KL2 ZA AZ'LZ AZ-LZ’ da cui risulta: KL2 = ZT ZL, e la retta ZT è quella secondo cui stanno in potenza le rette trac¬ ciate in modo coordinato sul diametro ZH, retta anche chiamata latus rectum. Cioè, si tratta della retta a partire dalla quale si applica un’area rettangolare equivalente alla potenza (un quadra¬ to) delle rette tracciate in modo coordinato sul diametro. Apol¬ lonio e i suoi predecessori, soprattutto Archimede, designarono sempre con questa espressione la retta che rappresenta l’altezza costante di un rettangolo, che ha come basi l’ascissa di un punto della conica e la cui area - o l’area maggiorata di un’altra area determinata nell’iperbole, o l’area diminuita di un’altra area de¬ terminata nell’ellisse - equivale nella parabola al quadrato dell’or¬ dinata. Questa retta caratteristica si chiama da questo momento «parametro» e si pone in evidenza per le equazioni cartesiane della parabola: y2 = 2px, dell’iperbole: y2 = + f y2, d L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 53
e dell’ellisse: 2 P 2 y = p* “2T, d IL TEOREMA DELL’IPERBOLE Il teorema dell’iperbole corrisponde alla proposizione 1.12, la cui risoluzione è illustrata nella figura 3, e che il «Grande geometra» sviluppò in questo modo: Se si taglia un cono con un piano che passi per l’asse e con un altro che tagli la base perpendicolarmente a quella del triangolo secondo il suo asse, se il diametro della sezione trova uno dei lati del trian¬ golo oltre il vertice del cono, il quadrato di ogni retta tracciata dalla sezione del cono parallelamente all’intersezione del piano secante, e il quadrato della base del cono fino al diametro della sezione, equivale a un’area descritta da una certa retta, poiché è il prolungamento del diametro della sezione che sottende l’angolo esterno del triangolo, ed è la stessa di quella del quadrato della parallela dal vertice del cono al diametro della sezione fino alla base del triangolo, cioè il rettangolo formato dai segmenti che la retta determina sulla base, la cui altezza è la parte del diametro [«l’ascissa»] separata dalla prima retta [«l’ordinata»] dalla parte del vertice della sezione, maggiorato di una figura simile e similmente disposta, cioè il rettangolo limitato dalla retta che sottende l’ango¬ lo esterno del triangolo e il parametro relativo. Tale sezione la chia¬ meremo iperbole. Questo enunciato si complica ulteriormente nella sua conti¬ nuazione, che risulta lunga, complessa e strapiena di spiegazioni incidentali: Sia un cono di vertice A e per base il cerchio BG; tagliamolo con un piano che passi per l’asse, il quale produce come sezione il trian¬ golo ABG, e con un altro piano, che tagli la base del cono come una retta DE perpendicolare al BG del triangolo e alla superficie conica 54 L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE
FIG 3 T secondo la linea DZE, il cui diametro ZH, prolungato, trova uno dei lati AC del triangolo ABG in un punto T oltre il vertice; tracciamo da A una retta AK parallela al diametro ZH della sezione; eleviamo nel punto Z la retta ZL perpendicolare a ZH e facciamo in modo che la retta ZT stia a una retto ZL come il quadrato di KA al rettangolo formato da KB e KG, e, infine, tracciamo da un punto qualsiasi M della sezione MN parallela a DE e da N la retta NOQ parallela a ZL, prolunghiamo la TL fino al suo incontro in Q con la NOQ e dai punti L e Q le LO e QP parallele alla ZN. Affermo che il quadrato di MN è equivalente al rettangolo ZQ, che, applicato alla retta ZL, ha la larghezza ZN e l’altezza LQ, che è un rettangolo simile a quello delle rette ZT e ZL. Apollonio affermò che, nella sezione conica considerata, il quadrato dell’ordinata equivale d un’area rettangolare che, se¬ guendo il parametro, cioè avendo l’altezza come parametro e l’ascissa come base, è aumentata di un’altra area, simile a quella che ha l’asse trasverso o il diametro come basi e l’altezza come parametro. In questo modo, designando l’ordinata «y», l’ascissa L’ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 55
«x», l’asse trasverso o diametro «a» e l’altezza «p», l’enunciato della proposizione si può tradurre nella seguente relazione: 2/2 = p^+f y2’ che è l’equazione cartesiana dell’iperbole, riferita ad assi obliqui, essendo uno di essi il diametro e l’altro la tangente nell’estremo. Benché la dimostrazione di questa proposizione sia molto faticosa, l’algebra allevia la complessità della retorica classica greca. Così, come si può vedere nella figura 3, nel cerchio di diametro RS si ha: MN2 = NR ■ NS, costruita come: ZT KA2 KA KA ZL KB KG KB ' KG ’ e dai triangoli simili - AKB, HZB, NZR, e AKG, HTG, NTS, rispet¬ tivamente - risulta: KA = HZ = NZ KA HT NT KB HB NR’ KG HG NS * La seconda uguaglianza si converte in: da cui risulta e come ne deriva che ZT _ NZ NT _ NZ • NT ZL NR ’ NS MN2 ’ mn2 = ZL NT ZT •NZ, ZT _ NT NO _ ZL NT ZL NQ’ W ZT ’ MN2 = NQ • NZ. 56 L’ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE
Come si voleva dimostrare, NQ • NZ è l’area del rettangolo PZNQ uguale al LZNO, cioè a quella applicata a ZL con l’altezza ZN, maggiorata nel rettangolo PLOQ simile a VTZL; similmente, i suoi lati sono la retta ZL, che quale Apollonio chiamò «para¬ metro», e la ZT opposta all’angolo ZAT esterna al triangolo se¬ condo l’asse. IL TEOREMA DELL’ELLISSE Il teorema dell’ellisse corrisponde alla proposizione 1.13, dove Apollonio non misura le parole per la sua descrizione: Se si taglia un cono per un piano che passi per l’asse e per un altro asse, non parallelo né in senso contrario, che tagli i lati del triangolo che passa per l’asse, se l’intersezione del piano secante con quello della base è perpendicolare a quella del triangolo o al suo prolungamento, il quadrato di ogni retta tracciata dalla sezio¬ ne del cono parallelamente a detta intersezione, fino al diametro della sezione, equivale a un’area applicata come una certa retta poiché il diametro è lo stesso del quadrato della parallela al dia¬ metro, dal vertice del cono fino alla base del triangolo, e al ret¬ tangolo formato dalle rette che quest’ultima determina nei lati del triangolo, la cui altezza è la parte del diametro separata dalla pri¬ ma retta, dalla parte del vertice della sezione, diminuito in una figura simile e similmente disposta, del rettangolo limitato dal diametro e l’altezza. Chiameremo ellisse tale sezione. Lo sviluppo successivo continua in modo ancora più esau¬ stivo che nei casi della parabola e dell’iperbole. Sia un cono di vertice A e per base il cerchio BG; tagliamogli con un piano che passi per l’asse, il quale produce come sezione il triangolo ABG, e con un altro piano, non parallelo né in senso contrario, la cui intersezione con la superficie conica sia la linea DEL di diametro DE e ZH perpendicolare a BG del piano secante L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 57
e della base del cono; tracciamo dal punto E la ET perpendicola¬ re a ED, da A la AK parallela a ED, e facciamo in modo che la retta ED stia a una retta ET come il quadrato di KA al rettangolo formato da KB e KG, e, infine, tracciamo da un punto qualsiasi L della sezione la parallela LM a ZH. Affermo che il quadrato di LM equivale al rettangolo che, applicato a ET, ha larghezza EM dimi¬ nuita in una figura simile al rettangolo delle rette ED ed ET Questa proposizione, illustrata nella figura 4, completa la dissertazione di Apollonio sulle tre sezioni coniche, le cui pro¬ prietà dedusse a partire dalla sua considerazione stereotomica. Il suo enunciato è tanto complicato quanto quello prece¬ dente, e viene a dire che nella sezione conica considerata, il quadrato dell’ordinata equivale a un’area rettangolare che, ap¬ plicata seguendo il parametro, cioè, avendo questo parametro come longitudine, e avendo l’ascissa come larghezza, è rarefat¬ ta di un’altra area, simile a quella che ha per altezza il parametro e come larghezza il diametro. In questo modo, designando l’ordinata «y», l’ascissa «x», l’asse trasverso o diametro «a» e l’altezza «p», tale enunciato può tradursi nella relazione: 2 P 9 y = p <% che è l’equazione cartesiana dell’ellisse, riferita ad assi obliqui, essendo uno di essi il diametro e l’altro la tangente nell’estre¬ mo. Come nei casi precedenti, l’algebra simbolica ci viene in aiuto per rappresentare la dimostrazione attualizzata del risul¬ tato di Apollonio. Nel cerchio di diametro PR si ha: lm2 = mpmr, costruito come: ED KA2 KA KA ET KB KG KB KG’ 58 L’ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE
e, dai triangoli simili - ABK, EBH, EMP y AGK, AGH, DRM, rispet¬ tivamente -, risulta KA HE ME KA HD MD KB HB MP’ KG HG MR‘ Seguendo un’argomentazione simile a quella valida per l’iper¬ bole, visto in precedenza, si verifica che la seconda uguaglianza si converte in: ED _ ME MD ME MD ET MP * MR lM2 ’ da cui risulta che e come T ,,2 ET • MD A/fU, LM =_E5—ME, ED _ MD ET MD ET MV ’ ED ’ si ottiene infine che LM =MVME. L’ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 59
Come si voleva dimostrare, MV • ME è l’area del rettangolo OEMV uguale a TEMN, cioè a quella applicata a ET con l’altezza EM, diminuita nel rettangolo TOVN simile TEDQ, e similmente disposto, i cui lati sono la retta ET, che Apollonio chiama «para¬ metro», e il diametro ED della sezione. I DUE RAMI DELL’IPERBOLE Una delle questioni più importanti delle Coniche è la considerazio¬ ne del cono con due facce che identifica i due rami dell’iperbole: è la proposizione 1.14, esposta nuovamente con un enorme appa¬ rato descrittivo. Se si tagliano le due superfici coniche opposte al vertice con un piano che non passi per l’asse, si otterrà su ogni superficie una sezione chiamata iperbole; il diametro di entrambe le sezioni sarà il medesimo; i parametri delle rette tracciate ordinatamente al diametro e parallele a quella posta alla la base del cono [cioè, parallelamente alla retta determinata alla base del cono dal pia¬ no secante] saranno uguali e l’asse trasverso [il lato trasverso, cioè l’asse trasverso dell’iperbole di doppio ramo] della figura sarà la retta che unisce i vertici delle due sezioni, che si chiama¬ no opposte. A seguire, il «Grande geometra» concluse: Tagliamo le superfici opposte al vertice A con un piano che non passi per l’asse, e le sue sezioni siano DEZ e HTK. Affermo che que¬ ste sezioni sono iperboli. La dimostrazione gli costò un sviluppo molto lungo ed esau¬ stivo, giungendo alla soluzione che mostrata nella figura 5. Apol¬ lonio le chiamò «opposte» ai due rami dell’iperbole. A partire da questa proposizione 14, furono considerarono come una sola cur¬ va prodotta da un piano che taglia le due facce di un cono. 60 L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA LE CONICHE
FIG 5 K DIMOSTRAZIONE MEDIANTE UN UNICO CONO OBLIQUO È interessante la considerazione dei tre risultati delle proposi¬ zioni 1.11,1.12,1.13, che vertono rispettivamente sulla parabola, l’iperbole e l’ellisse, mediante un’unica figura: un cono obliquo. In questo modo, costruite senza dubbi le tre curve, Apollonio dimostrò che: — Nella parabola, il quadrato dell’ordinata è uguale al rettan¬ golo i cui lati sono il parametro e l’ascissa — Nell’iperbole, il quadrato dell’ordinata è maggiore del ret¬ tangolo i cui lati sono il parametro e l’ascissa. — Nell’ellisse, il quadrato dell’ordinata è minore del rettan¬ golo i cui lati sono il parametro e l’ascissa L’ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 61
ALBRECHT DÜRER ILLUSTRA LE CONICHE DI APOLLONIO Il pittore e incisore tedesco Albrecht Dürer (1471 -1528), massimo esponen¬ te dell’arte rinascimentale in Germania, non trattenne dall’includere due incisioni sulle tre coniche di Apollonio nel suo trattato Istruzione sulla mi¬ surazione con riga e compasso di figure piane e solide, composto di quat¬ tro libri e più conosciuto in forma abbreviata come Sulla misura (1525). Davanti alla difficoltà che gli offrì l’analisi e la rappresentazione delle se¬ zioni coniche, ricorse a ciò che in seguito si sarebbe chiamata «proiezione ortografica»: una trasformazione prospettica del cerchio, usando un «pia¬ no del quadro» inclinato: di lì la compressione estrema degli intervalli pros¬ simi ai vertici, e che le sue ellissi avessero piuttosto forma ovoidale. Con queste incisioni, Dürer non solo divulgò i lavori di Apollonio, ma contribuì anche ad appoggiare le tre definizioni classiche sulle coniche: la prima, secondo cui le parabole sono le curve che si formano tagliando un cono con un piano parallelo a uno delle sue facce: la seconda, in base a cui le iperboli sono le curve che si formano tagliando un cono con un piano che tocchi i due lati del cono; la terza, secondo cui le ellissi sono le curve che si formano tagliando un cono con un piano che tocca solamente uno dei lati del cono e non è parallelo a nessuna delle sue facce. A sinistra, Autoritratto, di Dürer (1500). A destra, Incisione sulle ellissi descritte da Apollonio, che Dürer ha incluso in Sulla misura (1525). 62 L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA LE CONICHE
Effettivamente, queste proprietà sono certe. Eccole verifica¬ te secondo la notazione matematica moderna e con l’ausilio del¬ la figura 6: FIG 6 /\ Dato il cerchio BC e un punto A fuori dal piano determinato dal cerchio, sia il doppio cono generato da una retta che passa per A e che si muove sulla circonferenza. Il cerchio BC è detto la base del cono, mentre si chiama asse del cono la retta che unisce il punto A con il centro del cerchio BC. Sia la sezione del cono su un piano che tagli il piano della base in una retta DE. Sia BC il diametro del cerchio base perpen¬ dicolare a DE. ABC è un triangolo che contiene l’asse dal cono (si chiama «triangolo assiale»). Quando questo triangolo taglia la conica in PF, allora PP’M è la retta determinata dall’interse¬ zione del piano generatore della sezione con il triangolo assiale. Se QQ’ è una qualsiasi corda della sezione conica parallela alla retta DE, Apollonio dimostra che PP’ taglia QQ’ nel suo punto medio, in modo che VQ sia la metà di QQ’. L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 63
Sia ora la retta AF parallela a PM, che taglia BM in E E sia la retta PL perpendicolare a PM nel piano generatore della sezione. Per l’ellisse e l’iperbole si prende L, in modo che si realizzi la proposizione: PL BF-FC PP’ AF2 ’ mentre, per la parabola, la proposizione dev’essere: PL BC2 PA BA•AC' Per i casi dell’ellisse e dell’iperbole, siano i segmenti P’L e VR parallelo a PL, da V fino a tagliare P’L in R, mentre, nel caso dell’iperbole P’, stia nell’altro ramo e si estenda P’L per ottenere il punto R. Apollonio dimostrò che, nel caso dell’ellisse e dell’iperbole, si ottiene: QV2 = PVPR. Apollonio chiamò «ordinata» il segmento QV, in modo che il risultato mostrasse che il quadrato della ordinata QV fosse equivalente a un rettangolo costruito su PL, esattamente quello che ha come lati i segmenti PV, PR. Inoltre, Apollonio provò che, nel caso dell’ellisse, il complementare di quel rettangolo, nel rettangolo totale determinato dai segmenti PV e PL, è il rettan¬ golo che ha per diagonale LR. Cioè quello determinato dai seg¬ menti LS e SR, che è simile al rettangolo di lati PL e PP’, da cui proviene il termine «ellisse». Nel caso dell’iperbole, si continua a sviluppare l’espressione precedente, ma la costruzione stabilirebbe che VR è più lungo di PL, in modo che il rettangolo determinato dai segmenti PV e VR sia più grande del rettangolo costruito su PL; cioè si tratta del rettangolo determinato dai segmenti PL e PV, propri di un rettan¬ golo che ha per diagonale LR, che è simile al rettangolo di lati PL e PP’, da cui deriva il termine «iperbole». 64 L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA LE CONICHE
Nel caso della parabola, Apollonio dimostrò che, al posto della precedente, si ottiene la seguente espressione QV2 = PV PL, in modo che il rettangolo che equivale a QV2 sia giustamente il costruito su PL e di larghezza PV, da cui proviene il termine «pa¬ rabola». Queste le equazioni: QV2 = PV- PR , QV2 = PV- PL sono le proprietà basilari delle sezioni coniche, a partire dalle quali Apollonio dedusse il resto. Queste espressioni compiono la stessa funzione delle equazioni delle coniche nei calcoli moderni, così come la funzione dell’ascissa e dell’ordinata attuali si sostituiscono al seg¬ mento PV e alla semicorda QV. Per rapportare le proprietà basilari delle sezioni coniche di Apollonio alla geometria attuale delle coor¬ dinate, è utile porre attenzione alle seguenti notazioni: — Si denota con 2p il segmento PL, chiamato da Apollonio «parametro» delle ordinate, e noto abitualmente come latus rectum nelle edizioni latine. — Con d, la lunghezza del segmento PP’, chiamato «diametro». — Con x, la distanza PV misurata a partire da P. — Con y, la distanza QV. Allora, se si prendono le coordinate oblique indicate, risulta che, nel caso della parabola, l’ultima espressione QV2 = PV • PL si dovrà scrivere come y2 = 2px. Per l’ellisse, dalla penultima equazione QV2 = PV • PR, si ottiene in primo luogo che y2 = ¥V ' PR. L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 65
Dato che PV • VR = x(2p-LS) e che il rettangolo determinato da LS e SR. è simile al rettangolo determinato da PL e PP’, si verifica che: Dagli studi di Apollonio è possibile ricavare che, per la pa¬ rabola, il diametro risulta essere infinito, e così questa curva potrebbe essere una «versione geometrica limite» dell’ellisse o della parabola. Si è visto, dunque, a partire dagli sviluppi di Apollonio che le sezioni coniche possono considerarsi come curve di secondo grado, vincolate alle costruzioni greche che utilizzarono per risolvere l’equazione quadratica; queste finirono nell’«algebra geometrica» della matematica greca, che rimase cristallizzata negli Elementi di Euclide e dotò la scienza ellenica dello stesso valore della geometria cartesiana per la scienza moderna. La colossale messe di procedimenti sussidiari che, in modo magistrale, Apollonio applicò e apportò a ogni caso particolare, sarebbe stata sostituita, secoli dopo, da metodi uniformi e si¬ stematici, introdotti da Cartesio (nonché da Fermat). LS_x PL d ' Pertanto, d ’ da cui risulta che Cioè si ottiene l’equazione dell’ellisse: Allo stesso modo, per l’iperbole, si ottiene: 66 L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA. LE CONICHE
FOTO IN ALTO: Facciata della magnifica Biblioteca di Celso, a Efeso, città nella quale si stima che Apollonio realizzò parte dei suoi lavori geometrici. FOTO IN BASSO: L’altare di Pergamo, a Berlino, trasportato dalle rovine di questa polis greca sita nell’attuale Turchia. Anche la storiografia conferma che Apollonio sviluppò II buona parte della sua opera. L’ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 67
Questi sono universalmente applicabili a ogni tipo di pro¬ blema geometrico, una volta stabilite le coordinate cartesiane su un sistema fisso di assi. Le relazioni di aree di Apollonio, che esprimono le proprietà intrinseche della curva, si prestano con somma facilità a essere tradotte nel linguaggio dell’algebra simbolica tramite equazioni. Risulta importante evidenziare che tale qualità avrebbe permes¬ so l’associazione di curve ed equazioni, che è la principale fina¬ lità programmatica della futura geometria analitica. In presenza delle espressioni ottenute per le coniche, trascri¬ zione delle proprietà fondamentali che soddisfanno come luoghi piani, si osserva che, nel caso dell’ellisse: mentre per l’iperbole: y2 < 1^, y1 > Lr. Le proprietà delle curve che esprimono queste disuguaglian¬ ze sono quelle che suggerirono i nomi delle coniche, in base al linguaggio greco ordinario: parabola, ellisse, iperbole. Così furo¬ no battezzate da Apollonio oltre duemila anni fa. Non solo non furono nomi arbitrari rispondenti alla seman¬ tica dei termini, ma conobbero anche così tanta fortuna da rima¬ nere indissolubilmente vincolati al dizionario geometrico delle coniche. ELEMENTI GEOMETRICI DELLE TRE SEZIONI CONICHE È il momento di verificare alcuni aspetti delle sezioni coniche. Per esempio, le tre sezioni coniche, su cui si possono rilevare gli elementi geometrici e i vincoli reciproci che Apollonio dimo¬ strò, o anche un insieme di archi paralleli in un’ellisse (per esempio, paralleli a un segmento PQ). Tutto ciò è illustrato nel¬ la figura 7. 68 L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA' LE CONICHE
Apollonio dimostrò che i centri di quelle corde si trovano sul diametro AB dell’ellisse. Provò anche che, se si scorge una retta passante per C (punto medio di AB) e parallela all’insieme originale di corde, la citata DE taglia nel punto medio tutte le corde parallele ad AB; si tratta del diametro coniugato di AB. Nel caso dell’iperbole, gli archi possono stare all’intemo di uno dei rami e, in quel caso, il diametro è un segmento che va da un ramo all’altro; come si può vedere nella figura, si tratta del segmento AB. Le corde parallele al segmento AB si situano tra entrambi i rami dell’iperbole, e il diametro coniugato di AB, definito come media proporzionale tra AB e il latus rectum dell’iperbole, non taglia la curva. Nella parabola, qualsiasi diametro, cioè una retta che passa per i punti medi di un insieme di rette parallele, è sempre paral¬ lela all’asse. Non esiste diametro coniugato di un diametro dato, poiché le corde parallele a questo hanno una lunghezza infinita. L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 69
Inoltre, gli assi di un’ellisse e di un’iperbole sono due dia¬ metri coniugati perpendicolari tra loro, mentre, nella parabola, l’asse è un diametro i cui archi corrispondenti sono perpendi¬ colari. LE TANGENTI ALLE SEZIONI CONICHE Il Libro I tratta anche delle tangenti alle coniche, benché senza ancora nominarle con questo termine. Per Apollonio, una «tan¬ gente» è una retta che ha un solo punto in comune con la conica e ha qualsiasi altro punto al di fuori di essa. La tangente appare nella proposizione 1.17, che stabilisce che la parallela al vertice di una sezione conica alle ordinate è tangente alla sezione. Nel linguaggio di Apollonio, la proposizione 1.17 afferma che detta parallela ai vertice di una sezione conica «a una retta tracciata a forma di ordinata» (cioè le ordinate) «cade fuori dalla sezione» (cioè è tangente alla sezione). Considerando la tangente a una conica come la perpendico¬ lare per l’estremo di un diametro, parallelamente alle ordinate di questo, Apollonio si ispirò alla famosa proposizione III. 16 degli Elementi di Euclide, relativa al cerchio e che generalizza per una conica qualsiasi: La retta perpendicolare all’estremo di un diametro cade fuori dal cerchio; tra questa retta e la circonferenza non se ne intromette nessun’altra e l’angolo del semicerchio è maggiore rispetto a qua¬ lunque angolo rettilineo acuto e il rimanente è minore («angolo corneale» o «angolo di contingenza»). Nella proposizione 1.32 delle Coniche, relazionata con la ci¬ tata proposizione 1.17, si dimostra l’unicità: La parallela al vertice di una sezione conica a una retta tracciata ordinatamente è tangente alla sezione e nessun’altra retta cadrà tra la tangente e la sezione. Consideriamo in primo luogo che la sezio¬ 70 L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA. LE CONICHE
ne conica sia una parabola di diametro AB e tracciamo dal punto A la retta AG parallela a una retta tracciata ordinatamente. Si è dimostrato che questa retta cade fuori dalla sezione: affermo che nessun’altra può cadere tra AG e la curva. Se la sezione è un’iper¬ bole, un’ellisse o una circonferenza di cerchio, il cui diametro è AB e AZ è il parametro, prolunghiamo la retta BZ e tracciamo dal pun¬ to A la parallelo AG a una retta tracciata in una maniera ordinata. Così come si è dimostrato che questa retta cade fuori dalla sezione, affermo che nessun’altra cadrà tra AG e la curva. La seconda parte della proposizione può essere facilmente dimostrata, in termini algebrici moderni, mediante la realizzazione della costruzione indicata in quello stesso enunciato. a) Caso della parabola. Se nella parabola di diametro AB e tangente AG al vertice A, il punto D del segmento AD è esterno, allora si avrà ED > EH, e pertanto si otterrà: ED2 EH2 EA2 EA2 ’ e, dal momento che AZ risulta essere il parametro corri¬ spondente al diametro AB della proposizione 1.11, risulta: EH2 = ZA • AE, TL2 = ZA • AT, dimodoché, rapportato questo valore alla relazione prece¬ dente, si ottenga: ED2 ZA • AE ZA EA2 EA2 EA’ e se si fa in modo che sia: ZA = ED2 ZA AT TK2 AT EA2 AT2 AT2 ’ applicando le espressioni precedenti, si verifica: TL2 _ TK2 AT2 AT2 ’ L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 71
da cui risulta: TL = TK, che è impossibile. Tutto questo è verificato nella figura 8. b) Caso dell’iperbole e dell’ellisse. Per entrambe, consideran¬ do le proposizioni 1.12 e 1.13 e seguendo la linea precedente, si ha: EH2 = EA • EM, ËD2 =EA EN, ED _ EN _ TK EA ED TA’ ËD2 ËÑ2 _ EN _ TP ËÃ2 EA - EN EA TA’ TK2 ËD2 TP TÃ2 ËÃ2 TA ’ TK2 = TATP = TL2, da cui risulta: TK = TK, 72 L’ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE
che è impossibile, come si può vedere nella figura 9. n caso del cerchio è sviluppato nella proposizione III. 16 degli Elementi di Euclide, citata in precedenza. In sostanza, se si traccia una retta da un estremo di un diame¬ tro di un’ellisse o di un’iperbole, parallela al diametro coniugato del primo, questa retta «toccherà la conica su quel citato estremo e non è possibile tracciare un’altra retta tra essa e la conica»; per¬ tanto, la retta sarà tangente alla conica. Si può apprezzare in Apol¬ lonio la natura statica della tangente di una curva, di fronte alla concezione cinematica di Archimede. Più ancora, nelle proposizioni 1.33 e 1.35, si costruisce una tangente alla parabola per un punto qualsiasi, e si dimostra la sua unicità. Nelle proposte 1.34 e 1.36 si effettua la stessa cosa per l’i¬ perbole e l’ellisse. In una traduzione libera del testo di Apollonio, 1’esistenza ri¬ marrebbe fissata nel seguente modo: — Teorema 1.33: Se da un punto P di una parabola si traccia la ordinata PN sul diametro con vertice R, e si considera il punto J ± N sul diametro, tale che JR = RN, allora la retta PJ è tangente alla parabola. L’ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 73
— Teorema 1.34: Se da un punto P di un’ellisse o di un’iper¬ bole si traccia la ordinata PN sul diametro RS, e si conside¬ ra il punto J ^ N su RS, tale che: JR NR JS ~ NS ’ allora, la retta PJ è tangente alla curva data, come si vede nella figura 10. Nel caso della parabola, Apollonio dimostrò la proposta per assurdo, provando che la retta JP non può essere interna alla curva. La proposizione è reciproca, e si usa attualmente, enunciata in modo che il vertice della parabola bisechi la subtangente in qualunque dei suoi punti, una proprietà che permette di tracciare in modo semplice la tangente. ALTRE PROPOSIZIONI NOTEVOLI DEL PRIMO LIBRO Nella proposizione 1.46, Apollonio dimostrò che tutte le parallele r al diametro di una parabola sono diametri e le ordinate PN ri¬ spetto a r sono parallele alla tangente, nel punto in cui r taglia la curva. Nella proposizione 1.47 provò che tutte le rette che passano per il centro C di un’ellisse, e che tutte le rette che passano per il centro di un ramo di iperbole che la taglia, sono diametri. 74 L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE
Le ordinate PN rispetto a r sono parallele alla tangente nei punti T in cui r taglia la curva. Quanto alla proposizione 1.48, generalizzò il risultato ai due rami dell’iperbole. Perciò, dalla congiunzione di entrambe le proposte, si deduce che qualunque tangente a un’ellisse o un’iperbole è parallela a quel diametro coniugato con il diametro mediante il punto di contatto. Le proposizioni seguenti, 1.49 e 1.50, sono faticose, ma non meno importanti. In esse, Apollonio verificò che se si prende qualunque altro diametro della conica differente da quello preso finora come riferimento fondamentale, le proprietà definitorie della conica rimangono identiche. Tale questione, nel linguaggio attuale, equivale in realtà a stabilire la possibilità di considerare in qualsiasi momento la trasformazione di un sistema di coordinate oblique in un altro. La proposizione 1.51 deve esser intesa come l’estensione di que¬ sta proprietà (esposta nella 1.50 con un’ellisse e un ramo di un’i¬ perbole) ai due rami di un’iperbole. Con queste tre proposizioni, 1.49, 1.50, 1.51, Apollonio con¬ cluse lo studio delle proprietà di tangenti e diametri coniugati, tutto quello che rimaneva per approcciare la costruzione delle coniche. Finita la proposizione 1.51, Apollonio scrisse il seguen¬ te riassunto: Una volta dimostrate tutte queste cose, è chiaro che nella para¬ bola le parallele all’asse sono diametri, mentre nell’iperbole, nell’ellisse e nelle sezioni opposte lo sono tutte le rette che pas¬ sano per il centro; nella parabola, i quadrati delle parallele alle tangenti sui diametri rispettivi equivalgono a rettangoli applicati su una stessa retta; ma quei quadrati equivalgono ad aree appli¬ cate su una retta e maggiorate in una figura nell’iperbole e nelle sezioni opposte e diminuite di quella figura nell’ellisse, e, final¬ mente, è chiaro che anche tutte le cose dimostrate per le sezioni riferite ai diametri principali sono certe anche se si adottano altri diametri. Sono parole davvero notevoli, dato che implicano una traiet¬ toria verso la teoria della trasformazione degli assi di coordinate. L’ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 75
Una traduzione in linguaggio algebrico mostra l’importanza che ha qualunque coppia di diametri coniugati, nel caso dell’ellisse e dell’iperbole, così come un diametro e la tangente al suo vertice nel caso della parabola, come elementi fondamentali di un riferi¬ mento per ottenere l’equazione ridotta della conica. E in partico¬ lare, caso singolare, ma fondamentale e più abituale di un riferi¬ mento ortogonale (determinato da ordinate perpendicolari al diametro) che fornisce le coordinate rettangolari, che tanto sem¬ plificano i problemi geometrici. A partire dalla proposizione 1.52 e fino alla proposizione 1.60 (l’ultima del Libro I delle Coniche), Apollonio si incaricò di mo¬ strare come si possono costruire certe coniche a partire da alcuni dati, per esempio, un diametro, il latus rectum e l’inclinazione delle ordinate rispetto al diametro. A tutti gli effetti, costruì in primo luogo il cono di cui la conica desiderata è una sezione. Que¬ ste proposizioni le denominò «problemi». Bisogna ancora segnalare l’importanza del cambiamento di riferimento applicato allo studio dell’iperbole rispetto ai suoi asin¬ toti, che appare nella proposizione 1.60. Con ciò, finisce in modo brillante il Libro I delle Coniche. ALCUNI PARTICOLARI DEL LIBRO II Il Libro II delle Coniche conta 53 proposizioni, buona parte delle quali è dedicata, fin dall’inizio, allo studio delle principali proprietà e al tracciato degli asintoti dell’iperbole. I teoremi finali del Libro II si mostrano come «problemi»: per esempio, trovare il diametro di una conica, come si chiede nella proposizione 11.44; trovare il centro di una conica che lo possieda (proposizione 11.45); incontrare l’asse di una parabola e gli assi di una conica con un centro (proposizioni 11.46 e 11.47); tracciare tangenti (proposizioni 11.49 e 11.53). Per la loro importanza, è d’uopo spiegare lo sviluppo delle risposte di Apollonio circa i «problemi» esposti in due proposizio¬ ni: la 11.44 e la 11.49. 76 L’ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE
Nella proposizione 11.44, la costruzione di un diametro di se¬ zione conica si pone nella seguente maniera (si veda la figura 11): Sia una sezione conica che contiene i punti A, B, G, D, E e si costruisca uno dei suoi diametri. Una volta costruito (GT), le rette DZ ed ET, tracciate in maniera ordinata, saranno uguali ZB e TA, rispettivamente; quindi se fissiamo la posizione di BD ed E A in modo che siano parallele, i punti T e Z saranno noti e ri¬ marrà fissa la posizione della retta TZG. La costruzione sarà, dunque, la seguente: data la sezione conica si prendono su di essa i punti A, B, G, D; si unisce B con D; e si traccia la retta AE parallela a BD; si dividono in due parti uguali queste rette per i punti Z e T, rispettivamente, e la retta di unione ZT è un diametro. Con questo metodo si possono costru¬ ire tutti i diametri che si desideri. FIG 11 La proposizione 11.49, che riferisce la regola di Apollonio per la costruzione di una tangente, centra il problema nel seguente enunciato: data una sezione conica e un punto non situato all’in¬ L’ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 77
temo della sezione, tracciare da questo punto una retta tangen¬ te alla sezione conica data in un punto. Apollonio suppose risolto il problema per tutti i casi che pos¬ sono presentarsi nelle tre coniche e, dopo averli analizzati in modo esaustivo, fece la sintesi di ognuno di essi e fornì la regola per la costruzione della tangente, che coincide con fattuale applicazione delle corrispondenti equazioni cartesiane, cioè se (x,y} è il punto di contatto nelle tre curve, parabola, ellisse e iperbole, rispettiva¬ mente, si ottiene: a) Per la parabola y2 = 2px, la tangente al punto [x, y^j è: yy = p(x + x), da cui p è il semiparametro. ‘2 „ .2 b) Per l’ellisse + ^- = 1, la tangente al punto (x, y] è: a b v ' xxvy, a2 b2 X‘- y2 c) Per l’iperbole —T = 1, la tangente al punto: a b xx yy _ 1 a2 b2 IL LIBRO III: I FUOCHI DI UNA CONICA Il Libro III è composto da 56 proposizioni. Le prime quindici dimostrano le relazioni sulle aree di triangoli e quadrilateri, ri¬ sultato dell’incontro delle tangenti con diametri tracciati dai punti di contatto. Le otto seguenti riguardano rettangoli formati dai segmenti che determinano l’intersezione di archi tracciati nelle coniche. La maggior parte di queste proposte sono, per loro proprio enun¬ 78 L’ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE
ciato, un’estensione delle coniche con risultati geometrici ana¬ loghi al cerchio. Le dieci proposizioni seguenti trattano dei mar¬ catori e della loro divisione armonica. Benché la proposizione III.41 non venga sviluppata in queste pagine, rendiamo noto che essa dimostra che se tre tangenti di una parabola si tagliano reciprocamente, rimangono divise per la stessa ragione. Questa proposizione, permettendo di tracciare un numero qualsiasi di tangenti alla parabola, implica un procedimento di costruzione di questa curva per mezzo di tangenti. La proposizione III.43 dimostra invece la bella proprietà del¬ la tangente dell’iperbole, che taglia gli asintoti, segmenti il cui prodotto è costante, e pertanto pone in rilievo la costanza dell’a¬ rea del triangolo formato dalla tangente e dai due asintoti. Così, in questa proposta, il rettangolo delle rette, che una tangente all’iperbole determina negli asintoti a partire dal centro, equivale a quelle che la tangente determina al vertice, come nel¬ la figura 12. L’ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 79
Sia AD un’iperbole di asintoti DG e De e asse DB. Tracciamo da B la tangente ZBH e un’altra GAT in un punto qualsiasi A. Affermo che il rettangolo di DZ e DH equivale a quello di DG e DT. In effetti, trac¬ ciamo da A e B le AK e BL parallele a DE, e tracciamo AM e BN pa¬ rallele a DG, e allora, per essere GAT tangente e AG uguale ad AT, GT è il doppio di AT, CD il doppio di AM e DT il doppio di AK; quin¬ di il rettangolo di DG e DT è quadruplo di quello di AK e AM. Allo stesso modo, si dimostrerebbe che il rettangolo di DZ e DH è quadruplo di quello di BL e BN, e come questo è equivalente a quello di AK e AM; i rettangoli di AK, AM e BL, BN sono equivalen¬ ti, così come quelli di DG, DT, DZ, DH; analogamente si potrebbe dimostrare che la stessa cosa succede quando la retta BD è diame¬ tro, ma non asse. Gli esegeti di Apollonio rimarcano gli ultimi termini espressi in questa proposizione, grazie a cui amplia la sua validità per qual¬ siasi tangente all’iperbole, da cui deduce immediatamente l’ammi- rabile proprietà dalla costanza dell’area del parallelogramma, de¬ limitato dai segmenti che la tangente determina sugli asintoti, e di conseguenza la costanza dell’area del triangolo formato dalla tan¬ gente all’iperbole con i suoi asintoti. È il momento di incentrarsi nelle ultime proposizioni del Libro III, che rivelano alcune proprietà focali delle coniche. Arrivati a questo punto, l’attenzione viene catturata dalla proposta III.45, che dimostra specialmente che, nell’iperbole e nell’ellisse, il segmento di una tangente, intercettato da due perpendicolari tracciate nelle estremità dell’asse, è visto dai fuochi ad angolo retto (figura 13). Con le parole di Apollonio: Se in un’iperbole, o ellisse, o circonferenza di cerchio o sezioni op¬ poste si elevano delle perpendicolari negli estremi dell’asse, si appli¬ ca a entrambi i lati un rettangolo equivalente alla figura, maggiorato in un quadrato nell’iperbole, sia nelle sezioni opposte sia diminuito nell’ellisse, e si traccia una tangente alla sezione che tagli le perpen¬ dicolari; le rette che uniscono i punti di contatto con quelli prove¬ nienti dall’applicazione sono perpendicolari nei pimti di cui abbiamo appena parlato. 80 L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA. LE CONICHE
FIG 13 Paradossalmente, l’enunciato di questa proposizione, senza dubbio uno dei più importanti di Apollonio, è abbastanza oscuro. Tuttavia, apporta in maniera sussidiaria, e per la prima volta, la nozione dei fuochi nelle Coniche, cioè i punti che risultano ap¬ plicando all’asse il rettangolo caratteristico, maggiorato o dimi¬ nuito in un quadrato, a seconda che si tratti di un’iperbole o di un’ellisse; pertanto i fuochi dividono l’asse maggiore di una, e il trasverso dell’altra, in due segmenti, il cui prodotto è uguale al quadrato del semiasse coniugato; o, se si preferisce usare la ter¬ minologia di Apollonio, «uguale alla quarta parte della figura, cioè del rettangolo i cui lati sono l’asse maggiore e il parametro». Si tratta di un uso della classica «applicazione» delle aree: applicazione parabolica di un’area data, applicazione ellittica (per difetto) o applicazione iperbolica (per eccesso) di un qua¬ drato. Nel complesso, suppongono un’eredità euclidea, concre¬ tamente nelle proposizioni VI.28 e VI.29 del libro degli Elementi. Entrambe le proposizioni, per la loro importanza, sono illustrate nella figura 14. Per realizzare la costruzione di queste ultime figure, in primo luogo è necessario applicare, sull’asse maggiore dell’ellisse, o sull’asse trasverso dell’iperbole, un rettangolo AA’BB’ = Va di fi¬ gura caratteristica = Va AB • parametro = yA CD = OD . L’ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 81
Quindi, si riduce questo rettangolo nell’ellisse, o lo si aumen¬ ta nell’iperbole, di una figura quadrata FBB’H, cioè di un piccolo quadrato il cui lato FB è uguale all’altezza FH della figura rettan¬ golare caratteristica, che ha come base l’asse intero AB. Realizzando questa costruzione, a partire da ognuno degli estremi dell’asse, si ottengono, allora, due punti, F e F’, che si chiamano «fuochi» della conica, cui Apollonio si riferirà costante- mente mediante la perifrasi «punti provenienti dall’applicazione». Il nome di fuochi proviene dai geometri del Rinascimento, a causa delle sue rilevanti proprietà ottiche. Si dice che il termine fu coniato da Keplero (Johannes Kepler, 1571-1630). «La meditazione sui libri di Apollonio renderà possibile la rivoluzione astronomica operata da Keplero.» — Alexandre Koiré (1892-1964), storico russo. LA PATERNITÀ DELL’INVENZIONE DEI FUOCHI Apollonio determinò solamente il fuoco dell’ellisse e dell’iperbole, che non significa che ignorasse il fuoco della parabola, né la diret¬ trice delle coniche, né neanche che egli fosse colui che scoprì questi elementi. Benché Le Coniche sia il documento autentico più 82 L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE
remoto in cui appaiono in modo esplicito i fuochi, non si può as¬ sicurare che il «Grande geometra» sia stato lo scopritore di questi punti. Se non si sono incontrate le proprietà focali nel suo prede¬ cessore immediato, Archimede, è perché nelle sue magnifiche pro¬ posizioni geometriche non ne aveva alcun bisogno, poiché inter¬ veniva un altro punto fondamentale indipendente dei fuochi, il centro di gravità delle coniche, dei conoidi e degli sferoidi. La summa delle conoscenze precedenti sulle coniche, otti¬ mamente articolate nell’opera di Apollonio, non implica che questo volesse esporre già tutte le teorie considerate come clas¬ siche nella sua epoca: i quattro libri di Euclide sulle coniche, i quattro libri sui Luoghi solidi di Aristeo (in cui le coniche sono considerate come luoghi geometrici) ecc. Possiamo supporre che queste opere contenevano la nozione di fuoco, dato che Pap¬ po di Alessandria, che le ebbe a sua disposizione, trovò in esse i lemmi che sfociarono nella descrizione delle tre coniche con l’aiuto dei fuochi e della direttrice, cosa che riprese il Libro VII della Collezione matematica. Apollonio avrebbe affermato l’importanza di una scoperta pro¬ pria menzionandola in qualche preambolo, invece di determinare il fuoco in maniera accessoria, e gli avrebbe dedicato una serie di dovute proposizioni particolari. Invece, le proposizioni che dedicò ai fuochi sono scarse. EQUAZIONI CARTESIANE A PARTIRE DAI TEOREMI DI APOLLONIO Le proposizioni III.46, III.47, III.48, III.49, III.50 riferiscono pro¬ prietà in cui intervengono fuochi e tangenti, fino ad arrivare a due dei più importanti risultati geometrici del Libro III delle Coniche, soprattutto per la loro importanza accademica. Si tratta delle proposizioni III.51 e III.52, nella parte conclusi¬ va di questo terzo übro. Ancora una volta, gli enunciati sono abba¬ stanza astrusi, cosicché in traduzione libera si possono esprimere in questo modo: L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 83
— Proposizione III.51. La differenza delle distanze di ogni punto dell’iperbole ai due fuochi è costante e uguale all’asse trasverso. È dunque, per il metodo di «applicazione delle aree», tal¬ mente utilizzato dai geometri greci che Apollonio scoprì questa proprietà così importante dell’iperbole, che offre il metodo per tracciare la curva mediante un movimento continuo e che, inol¬ tre, serve generalmente per definirla in forma pianimetrica nei manuali di geometria elementare: «l’iperbole è una curva piana formata da punti che soddisfano che la differenza delle distanze da due punti fissi del suo piano sia una lunghezza costante». — Proposizione III.52. La somma dei raggi vettori tracciati dai fuochi a ciascuno dei punti dell’ellisse è costante e uguale all’asse maggiore. Così come nella proposizione precedente, relativa al caso dell’iperbole, attraverso il metodo di «applicazione delle aree» Apollonio raggiunse questa proprietà essenziale dell’ellisse, che fornisce il metodo per poter tracciare la curva con un movimen¬ to continuo. In modo pianimetrico, si definisce nella seguente maniera: «l’ellisse è una curva piana formata da punti che soddisfano che la somma di distanze da due punti fissi del suo piano sia una lunghezza costante». Come nel caso dell’iperbole, questa proprietà è anche la defi¬ nizione dell’ellisse nei testi attuali di geometria elementare. È il momento di costruire equazioni cartesiane dell’ellisse e dell’iperbole, a partire dai teoremi di Apollonio. Secondo la proposizione III.52 delle Coniche, a partire dalla figura 15 qui sotto mostrata, l’ellisse rimane definita per i punti che soddisfano: d(P, Fj) = d(P, F2) = 2a. Per semplificare il calcolo, si consideri come asse delle ascis¬ se OX, la retta che contiene i fuochi Fj e F.,; e come asse delle 84 L’ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA. LE CONICHE
Asse y ' ‘ Plliççp (0,b) (-a.O) I » (a.O) Asse x (0,-b) ordinate OY, la retta perpendicolare che passa per il punto medio del segmento determinato dai fuochi. In questo modo, l’ellisse avrà il suo centro nell’origine di coordinata e i fuochi saranno i punti = (c, 0) e F2 = (-c, 0). Per un punto P = (x, y) dell’ellisse, se può scrivere: d(P,F,) + d(P,F2) = yj(x-c f+y2 + yj(x-c f+y2 = 2a Elevando al quadrato e trasponendo i termini, si ottiene: Se si eleva di nuovo al quadrato, rispettando operazioni e rag¬ gruppando termini, si giunge all’espressione: Da cui risulta: yl(x - c)2 + y2 = 2a - yj(x - cf + y2. L’ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 85
da cui, dividendo entrambi i membri dell’uguaglianza per a2 (a2-c2), risulta: Finalmente, prendendo b, tale che b2 = a2-c2, si ottiene l’equa¬ zione dell’ellisse cercata: Si possono anche costruire equazioni cartesiane dell’iperbole, a partire dai teoremi di Apollonio. Secondo la proposizione III.51, a partire dalla figura 16, l’iperbole rimane definita dai punti che soddisfano: |d(P,FI)-d(P,F,)| = 2a. FIG 16 Per semplificare il calcolo, come nel caso dell’ellisse, si con¬ sideri l’asse delle ascisse OX, la retta che contiene i fuochi F, e F2, 86 L'ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE
e come asse delle ordinate OY, la retta perpendicolare che passa per il punto medio del segmento determinato dai fuochi. In questo modo, l’iperbole avrà il suo centro nell’origine della coordinata e i fuochi saranno i punti F1 = (c, 0) e F2 = (-c, 0). Per un punto P = (x, y) dell’iperbole si può scrivere: |d(P.F|) + d(P,F2)| = yjix-cf+y2 -J(x + cf+y2 = 2a. Da cui risulta: yl(x-cf +y2 = 2a + y/(x + cf + y2. Elevando al quadrato e trasponendo i termini, si ottiene: 4a yj(x + c)2 + y2 = -4a2 - 4ex. Se si eleva di nuovo al quadrato, rispettando operazioni e rag¬ gruppando termini, si giunge all’espressione: (c2 - a2)#2 - a2y2 = a2 (c2 - a2), da cui, dividendo entrambi i membri dell’uguaglianza per: V2 _ 1 Finalmente, prendendo b, tale che b2 = a2 - c2, si ottiene l’e¬ quazione dell’ellisse cercata: *L_yL = 1 a2 b2 L’ULTIMO PRODIGIO DELLA GEOMETRIA GRECA: LE CONICHE 87
CAPITOLO 3 Su intersezioni, segmenti estremi, somiglianze, tangenti e normali Apollonio espose in modo magistrale le sue scoperte geometriche nei libri IV, V, VI e VII delle Coniche. Tra questi spicca il Libro V, su cui Christiaan Huygens avrebbe edificato le fondamenta della geometria differenziale nel xvii secolo. Le proposizioni del Libro VII occupano ancora un posto di onore nei testi moderni in riferimento alle coniche, poiché contengono la teoria dei diametri coniugati e le figure che si costruiscono su essi.
Il Libro IV delle Coniche di Apollonio raggruppa 57 proposizioni e continua, in parte, gli studi del libro precedente. Le prime 23 proposizioni furono dimostrate da Apollonio mediante il metodo della riduzione all’assurdo e, in sostanza, sono il naturale prose¬ guimento delle proposizioni da 30 a 40 del Libro III. La più im¬ portante di esse è la proposizione IV.9, che fornisce un metodo pratico per tracciare due tangenti a una conica da un punto esterno. Di fatto, Apollonio fece passare per questo punto due marcatori qualsiasi e provò che la retta che unisce i punti armo¬ nicamente separati tagliava la conica nei punti di contatto della tangente, come si vedrà nella figura 1. Le 34 proposizioni seguenti, cioè le proposizioni da IV.24 a IV.57, riguardano il numero reale di intersezioni e contatti che possono presentarsi tra le diverse sezioni coniche e la circonferenza del cerchio. Bisogna segnalare che non tutte queste proposizioni furono originali, poiché Apollonio commentò nel preambolo delle Coni¬ che, in riferimento ad Attalo, che alcune di esse erano state già esposte da un matematico del m secolo a.C.: Conone di Samo, di¬ scepolo di Euclide e maestro e amico di Archimede. Questo brillante geometra è considerato come il precursore di Apollonio nella teoria dell’intersezione delle curve di secondo grado, ma è giusto sottolineare un fatto fondamentale: Conone di SU INTERSEZIONI, SEGMENTI ESTREMI, SOMIGLIANZE, TANGENTI E NORMALI 91
FIG 1 E Samo ignorava la nozione dei due rami dell’iperbole in quanto elementi di un’unica curva. Questa era una questione imprescin¬ dibile per fare progredire tale materia; i geometri classici dove¬ vano ancora trovare le risorse che avrebbero completato la di¬ scussione sull’equazione completa di secondo grado. Per tutto ciò, questa teoria può essere considerata, in gran parte, come opera originale di Apollonio, e non solo per l’assolu¬ to rigore con cui dimostrò già i risultati geometrici noti in prece¬ denza, con una bella e ordinata sistematizzazione, e la moltitudi¬ ne di casi particolari che apportò e studiò su intersezioni e contatti, ma anche perché fu, in definitiva, il primo matematico che riconobbe la grande utilità di questa teoria per la sintesi e la discussione di una moltitudine di problemi geometrici. Una delle proposizioni più importanti e note di Apollonio è la IV.25, illustrata in figura 2, in cui il sapiente di Perga si espres¬ se in questi termini: Una sezione conica non taglia un’altra o una circonferenza in più di quattro punti. Supponendo che le due sezioni si taglino nei cin¬ que punti A, B, G, D, E, in questo ordine, tracciamo le rette AB e GD che, prolungate, si intersecheranno in un punto L esterno alle sezioni, se si tratta di una parabola o di un’iperbole, e sia OA con OB come LA con LB e PD con PL, come LD con LG. La retta PO, prolungata su entrambi i lati, taglierà la sezione, e le rette traccia¬ te dai suoi punti di intersezione T e Q fino ad A saranno tangenti; 92 SU INTERSEZIONI. SEGMENTI ESTREMI. SOMIGLIANZE. TANGENTI E NORMALI
FIG 2 Q perché LE tagli le due sezioni, dal momento che queste non hanno alcun punto in comune con B e G, siano M e H quei punti, e allora NE sarà NH come LE con LH in una delle sezioni e NE con NM come LE con LM nell’altra N, cosa impossibile; quindi è anche impossibile ciò che abbiamo supposto all’inizio. Se le rette AB e DG sono parallele, le due coniche saranno ellissi o una sarà un’ellisse e l’altra una circonferenza. Dividendo¬ le in due parti uguali nei punti O e P, la retta di unione OP prolun¬ gata su entrambi i lati, taglierà le sezioni in T e Q; la TQ sarà un diametro e le AB e GD ordinate, e allora, tracciando dal punto E la ENMH parallela ad AB e GD, essa taglierà TQ e le due sezioni, perché non ci sono più punti di intersezione tra A, B, G, D, da cui risulta che in una sezione la retta NE è uguale a NM e l’altra a NH, cosa impossibile. Questa proposizione fu completata con la IV. 26, in cui Apol¬ lonio affermò che «se le linee di cui abbiamo appena parlato si toccano reciprocamente in un solo punto, non si taglieranno in più di altri due», e con le proposizioni da 27 a 29, che possono riassumersi dicendo che, se dette linee «si toccano reciproca¬ mente in due punti, non si taglieranno in nessun altro». In altre proposizioni interessanti presenti nel IV Libro, Apol¬ lonio si dilungò in risultati geometrici intorno al comportamen¬ to dei due rami dell’iperbole; in fin dei conti, introdotti grazie al suo acume. SU INTERSEZIONI, SEGMENTI ESTREMI, SOMIGLIANZE, TANGENTI E NORMALI 93
Così, in merito ai contatti, scrisse: — Proposizione IV.30: Una parabola non tocca un’altra in più di un punto. — Proposizione IV.31: Una parabola esterna a un’iperbole non la toccherà in due punti. — Proposizione IV.32: Una parabola interna a un’ellisse o a una circonferenza di cerchio non sarà tangente in due punti. — Proposizione IV.33: Due iperboli con lo stesso centro non saranno tangenti in due punti. — Proposizione IV.34: Se un’ellisse tocca un’altra ellisse o una circonferenza con lo stesso centro in due punti, la retta di contatto passerà per il centro. Quanto ai tagli che si producono o risultano impossibili, il «Grande geometra» stabilì le seguenti conclusioni provate: — Proposizione IV.37: Una conica o una circonferenza che taglia una delle sezioni opposte [di un’iperbole] non ta¬ glierà l’altra sezione in più di due punti. — Proposizione IV.38: Una conica o una circonferenza non taglierà le sezioni opposte [di un’iperbole] in più di quat¬ tro punti. — Proposizione IV.39: Se una conica o una circonferenza è tangente a una delle sezioni [di un’iperbole] nella sua par¬ te concava, non taglierà l’altra sezione. — Proposizione IV.40: Se una conica o una circonferenza è tangente alle sezioni [di un’iperbole] opposte in un punto, non le incontrerà in nessun altro punto. — Proposizione IV.44: Se un’iperbole taglia una delle sezio¬ ni opposte [di un’iperbole] in quattro punti, la sua sezio¬ ne opposta non ne incontrerà nessun’altra. Infine, bisogna citare la proposizione IV.55, in cui si sostiene che le sezioni opposte di un’iperbole non tagliano le sezioni op¬ poste in più di quattro punti. 94 SU INTERSEZIONI, SEGMENTI ESTREMI, SOMIGLIANZE, TANGENTI E NORMALI
L’IMPORTANZA DEL LIBRO V Il Libro V di Le coniche è uno tra quelli che più ha contribuito alla gloria di Apollonio come geometra. Contiene 77 proposizioni ed è completamente dedicato alle linee massime e minime, cioè le rette più lunghe e più brevi che si possono tracciare da un punto al peri¬ metro di una sezione conica. In realtà, sono teoremi su tangenti e normali. Apollonio suppose in primo luogo che il punto dato fosse situato sull’asse della sezione conica, e in questo modo risolse un’in¬ finità di problemi con un’eleganza incontestabile. Di seguito, estese le sue ricerche al caso in cui il punto fosse situato fuori dall’asse, cosa che condusse a teoremi ancora più complessi. Fu molto co¬ sciente del valore che stava acquisendo il suo lavoro geometrico, tanto da lasciarne traccia nel citato preambolo diretto ad Attalo. «Questa materia è indispensabile non solo per quelli che studiano la nostra scienza, ma anche in considerazione dell’analisi e della discussione dei problemi, più che ancora per la loro sintesi; è inoltre uno dei temi degni di studio per il suo valore intrinseco.» — Apollonio di Perga. La maggioranza delle proposizioni di questo Libro V si avvici¬ na in modo molto vistoso alle teorie moderne su rette normali, evolute ed evolventi, e altri problemi che contengono il germe concettuale di Horologium oscillatorium (1673), l’opera capitale di Christiaan Huygens. Come si sa, la matematica greca non dispo¬ neva di una definizione molto soddisfacente della tangente di una curva C in un punto P. Veniva considerata come una retta r con un unico punto P in comune con la curva, e in tal modo non si poteva approcciare alcun’altra retta passante per P e situata tra la retto r e la curva C. Forse Apollonio non trovò molto adeguata questa definizione di tangente ed evitò di definire la normale a una curva C da un punto Q, come la retta passante per Q, che taglia la curva in un punto P ed è perpendicolare alla tangente della curva C pas¬ sante per P. Invece di farlo così, per definire la normale, contò sul fatto che la distanza dal punto Q alla curva C è un minimo o un SU INTERSEZIONI, SEGMENTI ESTREMI, SOMIGLIANZE, TANGENTI E NORMALI 95
1 massimo relativo, se si misura precisamente lungo la normale. A partire da qui, ripassiamo alcune propo¬ sizioni per ciascuna delle sezioni coniche su rette minime tracciate da un punto dell’asse. Per esempio, la proposizione V.4, che Apollonio stese in questo modo: Se da un punto dell’asse della parabola a una di- ! stanza dal vertice uguale alla metà del parametro si tracciano marcatori sulla curva, la più piccola è situata sull’asse, mentre le altre crescono mano a mano che si allontanano da esso, e la differenza tra i quadrati di una di esse e la minima equivale al quadrato del segmento dell’asse compreso tra il vertice e il piede dell’ordinata Possiamo chiarire la proposizione mediante notazione e svi¬ luppo moderni. Pertanto, sia la parabola di asse GE e semipara¬ metro GZ. Se si tracciano, come in figura 3, le rette ZG, ZH, ZT, ZB, ZA, le ordinate dei punti di intersezione con la curva e la GM = GZ perpendicolare all’asse, senza perdere di vista la pro¬ posizione 1.11, si ottiene la seguente espressione: HK2 = 2GM • GK = 2GZ • GK. Ora, aggiungendo ai due membri di questa uguaglianza il qua¬ drato di ZK = ZG - KG, risulta: hk2 + zk2=zh2 = = 2GZ • GK + (zG2 + KG2 - 2GZ • Gk) = ZG2 + KG2. Da cui risulta: ZH2 - ZG2 = KG2. E, allo stesso modo: ZA2 - ZG2 = EG2. FIG. 3 96 SU INTERSEZIONI, SEGMENTI ESTREMI, SOMIGLIANZE, TANGENTI E NORMALI
E in caso di: ZB2 = 2GM • GK = 2ZG2, ZA2 - EG2 = ZG2 risulta subito: ZA > ZB > ZT > ZH > ZG. Le proposizioni V.5 e V.6 insistono sul fatto che questa pro¬ prietà è presente tanto nei marcatori dell’iperbole quanto in quel¬ li dell’ellisse, sebbene con alcune precisazioni. La proposizione V.7 afferma che «la minore distanza tra una sezione conica e un punto preso nella retta minima è quella che c’è dal punto al vertice della curva, e, tra tutte le rette tracciate da uno stesso lato dell’asse, la minore è la più prossima alla minima». La seguente proposizione, V.8, fu un risultato geometrico che Cari B. Boyer qualificò come CHRISTIAAN HUYGENS L’astronomo, fisico e matematico olandese Christiaan Huygens (1629 -1695) arricchì le ori¬ gini della geometria differenziale studiando la curvatura delle curve piane, genialmente intui¬ ta da Apollonio nel Libro V delle Coniche. Huy¬ gens espose le sue conclusioni in Horologium oscillatorum (1673), opera in cui trattò anche della forza centrifuga in un movimento circola¬ re e della teoria del centro di oscillazione, tra le altre questioni. Il suo talento matematico sareb¬ be stato in seguito confermato dalla risoluzione di diversi problemi geometrici, come la deter¬ minazione della curvatura della cicloide e la rettifica della cissoide. Bisogna aggiungere che, nel campo dell’astronomia, inventò una lente oculare di telescopio con cui realizzò notevoli scoperte (per esempio, Titano, la più grande luna di Saturno); si distinse anche come fisico: elaborò la teoria ondulatoria della luce e, a partire dalla stessa, spiegò la riflessione, la rifrazione e la dop¬ pia rifrazione della luce. Ritratto di Christiaan Huygens, opera del pittore olandese Bernard Vaillant (1632-1698). SU INTERSEZIONI. SEGMENTI ESTREMI. SOMIGLIANZE. TANGENTI E NORMALI 97
«un teorema relativo alla normale di una parabola che oggi potreb¬ be far parte di un corso di calcolo differenziale». Formulando questo teorema con una terminologia moderna, si otterrebbe: La subnormale della parabola corrispondente a un punto qual¬ siasi della curva y2 = 2px, è costante e uguale a p, dove p è il parametro. Questa affermazione è molto più chiara dell’enunciato di Apol¬ lonio, che comunque riportiamo qui nel suo sviluppo: Se da un punto di una parabola situato a una distanza dal vertice maggiore della metà del parametro si prende dalla parte del vertice un segmento uguale alla metà del parametro e si eleva nel suo estremo la perpendicolare all’asse fino a che non si incontri la curva, la retta che unisce il suo punto di intersezione con quello preso sull’asse è la minore tra tutte quelle che possono essere tracciate da detto punto alla curva; le altre continuano a crescere mano a mano che si allonta¬ nano da esso e la differenza tra i quadrati di una di quelle rette e la minima è equivalente a quella del segmento compreso tra i piedi delle ordinate di dette rette e il punto fisso sull’asse. Ora, è il turno della spiegazio¬ ne per mezzo della matematica moderna, con l’ausilio della figura 4. Data la parabola ABG e, nel suo asse GD, un punto E, la cui distan¬ za al vertice G è maggiore del se¬ miparametro, se si prende il seg¬ mento EZ uguale a questo, e se si traccia in Z la perpendicolare ZH all’asse, unendo il suo punto di in¬ tersezione H con E, e questo con gli altri punti L, K, A della parabola, la retta EH sarà la minore tra tutte quelle che partono da E. Le altre FIG 4 98 SU INTERSEZIONI. SEGMENTI ESTREMI, SOMIGLIANZE. TANGENTI E NORMALI
sono EK > EL > EG, e la differenza tra i quadrati di questi e quello di EZ = GN, equivale al quadrato del segmento compreso tra il pun¬ to Z e i piedi delle ordinate. Se si osserva che, per costruzione, e si ricorda la proposizione 1.11, si ottiene: 2GN • GP = 2EZ • GP = KP“, e in presenza di EP2 = (EZ + ZP)2 = EZ2 + ZP2 + 2EZ • ZP. Eseguendo tali operazioni, risulta: 2EZ(GP + ZP) + EZ2 + ZP2 = 2EZ • ZG + EZ2 + ZP2 = EK2. E poiché secondo la proposizione 1.11, di nuovo, si ottiene: 2GN • ZG = 2EZ ZGP = ZH2, inserendo questo valore nell’ultima espressione, si ottiene: (ZH2 + EZ2) + ZP2 = EH2 + ZP2 = EK2. Cioè: EK2 - EH2 = ZP2. E, allo stesso modo, risulta: EL2 - EH2 = ZM2, EG2 - EH2 = ZG2. Da queste uguaglianze, deriva immediatamente: EK > EL > EG > EH, pertanto, la retta EH è più piccola (è la retta minima) di ogni altra retta dal punto E alla sezione conica. È d’uopo osservare che la per¬ pendicolarità, che ora si prende come definizione, qui viene dimo¬ strata come un teorema; invece Apollonio prese la proprietà di mas- SU INTERSEZIONI, SEGMENTI ESTREMI, SOMIGLIANZE, TANGENTI E NORMALI 99
simo o minimo come definizione. Le proposizioni V.9 e V10 possono essere riassunte a grandi linee considerando che l’iperbole e l’ellisse hanno proprietà analoghe a quelle dimostrate per la parabola. RETTE MASSIME E MINIME Apollonio ampliò le sue ricerche circa le rette massime e minime comprendendo il caso in cui il punto sia situato fuori dall’asse. Per motivi di estensione, svilupperemo solamente la proposizio¬ ne V.12, che Apollonio presentò con questo enunciato e con que¬ sta conclusione: Se, nelle condizioni in precedenza stabilite, si prende un punto in una retta minima tracciata dall’asse di una conica, e da esso si trac¬ ciano rette su un stesso lato, la retta più piccola è la parte della mi¬ nima adiacente alla conica e le più vicine a questa parte saranno più piccole di quelle più lontane. Sia AB una sezione conica con asse GB, e sia GA una retta minima all’intemo di cui prendiamo un punto D. Affermo che DA è la minore distanza da D alla conica. Per la sua dimostrazione, risulta imprescindibile tracciare, ef¬ fettivamente, altre rette DE, DZ, DB, come si può vedere nella figu¬ ra 5. Unendo i punti E e Z con G, e A, E, Z, B tra loro, si otterrà, es¬ sendo GE > GA: GAE = DAE > DEA, DE > DA e, analogamente, si dimostra che: DZ > DE, DB > DZ, e pertanto: DA < DE < DZ > DB. Le seguenti proposizioni stabiliscono un interessante teorema di unicità per ciascuna delle coniche: 100 SU INTERSEZIONI, SEGMENTI ESTREMI, SOMIGLIANZE, TANGENTI E NORMALI
— Per un punto di un conica può essere tracciata solo un’u¬ nica retta minima (o massima) - che sarà un’unica norma¬ le - che sarà perpendicolare alla tangente alla conica nel punto dato. La proposizione V.24 presenta il seguente enunciato, illustrato nella figura 6: Da un punto di una conica, può essere tracciata una sola retta mini¬ ma all’asse. Sia in primo luogo la parabola AB con asse GB, e in essa un punto A. Se da questo punto potessero essere tracciate due rette minime AC e AD all’asse, le distanze ED ed EG del piede E dell’or¬ dinata da A a D e G sarebbero uguali al semiparametro [secondo la proposizione 13], cosa impossibile. La proposizione V.25 sostiene che questa proprietà si verifica anche per l’iperbole e l’ellisse. Quanto alla proposizione V.26, corredata dall’illustrazione di figura 7, in essa Apollonio sostiene che «da un punto qualunque dell’ellisse, eccetto il vertice dell’as¬ se minore, può essere tracciata esclusivamente una retta massi¬ ma». La dimostrazione può essere data mediante il linguaggio matematico attuale, per facilitarne la comprensione, nel limite del possibile: Sia l’ellisse ABC con centro H e in essa un punto B. Se da questo punto supponiamo che possono essere tracciate due rette massime FIG 5 c G B SU INTERSEZIONI, SEGMENTI ESTREMI, SOMIGLIANZE, TANGENTI E NORMALI 101
FIG 7 A G BD e BE all’asse minore AG, e se supponiamo che Z sia il piede della perpendicolare da B ad AG, si otterrebbero simultaneamente queste due uguaglianze incompatibili: ZH _ diametro traverso ZH _ diametro traverso ZE parametro ’ ZD parametro La proposizione V.27, si veda la figura 8, afferma che «la tan¬ gente a una conica nell’estremo di una retta minima, tracciata da un punto dell’asse, è perpendicolare alla minima». Sia la parabola AB con asse BG. Se la retta minima è un segmento dell’asse, la proposizione è evidente, e se c’è un’altra retta AG e trac¬ ciamo la tangente AD in A e l’ordinata di A, applichiamo le proposi¬ zioni HI. 13 ed 1.35. Le proposizioni V.28 e V.29 possono essere riassunte considerando che l’iperbole e l’ellisse hanno proprietà analoghe a quelle della parabola D’altra parte, la proposizione V.30 conclude affermando che la tangente a un’ellisse nell’estremo di una retta massima, traccia¬ ta da un punto dell’asse minore, è perpendicolare alla massima, come si vede nella figura 9. 102 SU INTERSEZIONI. SEGMENTI ESTREMI. SOMIGLIANZE. TANGENTI E NORMALI
FIG 8 FIG 9 Sia ABC un’ellisse con asse minore AC; da uno dei cui punti O tracciamo la retta massima OB e nell’estremo B di essa la tangen¬ te BD. Dato che il semiasse maggiore EK taglia la retta massima OB in un punto L, il segmento BL della massima compresa tra la curva e l’asse maggiore è una minima e, come BD è tangente, è perpendicolare a BO. Come si può osservare di seguito, le proposizioni V.31 e V.32 non sono altro che le reciproche della V.27; e la proposizione V.33 è la reciproca della V.30. — Proposizione V.31: La perpendicolare nell’estremo di una retta minima è tangente alla sezione conica. — Proposizione V.32: La perpendicolare alla tangente di una conica nel punto di contatto fino all’asse, è la più picco¬ la tracciabile dal punto di intersezione. — Proposizione V.33: La perpendicolare all’estremo di una retta massima è tangente alla conica RETTE NORMALI A UNA CONICA Il Libro V continua con uno sviluppo ampio delle normali a una conica. Apollonio arrivò perfino a dare criteri che permettono di dire quante normali da un punto dato possono essere trac¬ ciate a una sezione conica; cosa che, in un certo senso, equiva¬ SU INTERSEZIONI, SEGMENTI ESTREMI, SOMIGLIANZE, TANGENTI E NORMALI 103
le a descrivere le evolute delle corrispondenti coniche. In altri termini, Apollonio, nel corso della sua ricerca sulle rette mas¬ sime e minime che si possono tracciare da un punto a una co¬ nica, determinò le posizioni dei punti dai quali si possono trac¬ ciare due, tre o quattro rette di quel tipo. Apollonio fissò per ogni tipo di conica il luogo geometrico dei punti che separano le regioni dalle quali si possono traccia¬ re i diversi numeri delle rette normali. Il luogo geometrico che non analizzò in profondità è quel¬ lo che oggi si denomina come la «evoluta» della conica, il luo¬ go geometrico dei punti di intersezione di rette normali alla conica «infinitamente prossime». Per esempio (si veda la figura 10), da qualunque punto all’in- temo dell’evoluta dell’ellisse - la cosiddetta curva «asteroide» - si possono tracciare quattro normali a un’ellisse. Invece, dai punti esterni dell’evoluta se ne possono traccia¬ re solamente due. Si osserva anche che ogni retta tangente all’e- voluta è normale all’ellisse, cioè l’evoluta è l’involvente delle normali all’ellisse. Per la parabola, l’evoluta è la curva denomi¬ nata «parabola semicubica». Da qualunque punto del piano che stia al di sopra della pa¬ rabola semicubica si possono tracciare tre normali alla parabo¬ la; e da qualunque punto del piano che sia al di sotto, se ne possono tracciare solo due. 104 SU INTERSEZIONI. SEGMENTI ESTREMI. SOMIGLIANZE. TANGENTI E NORMALI
Per il caso della parabola y = oc2, Apollonio dimostrò che i punti le cui coordinate soddisfanno l’equazione cubica ài ^ 16 sono la posizione limite dei punti di intersezione delle normali alla parabola nei punti P e Q, quando Q si avvicina a P Cioè re¬ voluta è composta dai punti di questa curva cubica, che sono realmente i centri di curvatura corrispondenti ai distinti punti della conica. Questo equivarrebbe ai centri dei cerchi osculatori alla parabola. Per il caso della parabola generale y2 = 2px, revo¬ luta sarebbe la cubica dell’equazione 27pi/2 = 8(;rp)3. Ugualmente, nel caso dell’ellisse e dell’iperbole, le cui equa¬ zioni rispettive sono: £Ì , l£_ 1 a2 + b2 ’ a2 y2 b2 Si ottiene che le corrispondenti equazioni delle loro evolute sono: (ax)% + (b yfë = (a2 - b2)^ , (axfô - (b yf* = (a2 - b2)^ . Le proposizioni seguenti del Libro V trattano delle interse¬ zioni delle rette massime e minime con le sezioni coniche e del tracciato di normali. In particolare, spiccano le complesse pro¬ posizioni V.51 e V.52, che dimostrano che i piedi delle normali che passano per un punto fisso rimangono nella cosiddetta «iperbole di Apollonio», la cui intersezione con la sezione conica risolve il problema del tracciare alla stessa una normale da un punto dato. Un avvicinamento moderno per il caso della parabola sarebbe il seguente. Sia la parabola y2 = 2p:r, così come Q un punto esterno alla parabola che non sia sull’asse, da cui si vuole tracciare un normale alla stessa. Si tracci la perpendicolare QM all’asse AK, e si prenda in senso opposto la parabola HM = p. Si elevi la per- SU INTERSEZIONI, SEGMENTI ESTREMI, SOMIGLIANZE, TANGENTI E NORMALI 105
FIG 11 pendicolare da HR a HA, e di seguito si tracci l’iperbole equilatera che ha per asintoti le rette HA e HR, secante la pa¬ rabola nel punto R Risulta allora, come mostra la figura 11, che la retto QP è la normale cercata, come si ottiene provan¬ do che NK = HM = p. Se il punto Q fosse situato all’interno della parabola, la co¬ struzione si risolverebbe in modo simile, ma il punto P si troverebbe tra i punti Q e R. Apollonio fece anche costruzioni analoghe per il tracciato di una normale, da un punto dato fino afi’ellisse e a un’iperbole date, e in questa occasione usò un’iperbole ausiliaria. Oggi le sue dimostrazioni ap¬ paiono lunghe, difficili e poco eleganti, pertanto si ricorre preferi¬ bilmente a metodi più moderni. Nella notazione attuale, se la co¬ nica viene descritta con una qualunque delle equazioni seguenti: 21 + lL-i \ y*-2vx a2 + b2 “ ’ a2 b2 ’ V ^’ e se il punto è P = (m, n), l’iperbole di Apollonio sarà: (a2 - b2)xy- a2nu/ + b2nr = 0, (a2 + b2}xy - a2my + b2nr = 0, xy — (m + p)2/ — pn = 0. E, nel caso della parabola, i piedi dei normali si trovano anche nella circonferenza: x2 +y2 ~(m + p)x-^- = 0, tema che non fu notato da Apollonio, e ciò l’obbligò a risolvere come luogo solido un problema che trova la sua soluzione in un 106 SU INTERSEZIONI, SEGMENTI ESTREMI, SOMIGLIANZE, TANGENTI E NORMALI
Dettaglio di una statua eretta in onore del geometra greco Apollonio di Perga nei giardini del Palazzo di Versailles, a Parigi. SU INTERSEZIONI. SEGMENTI ESTREMI. SOMIGLIANZE, TANGENTI E NORMALI 107
luogo piano. Tale questione avrebbe motivato una critica succes¬ siva da parte di Pappo di Alessandria. Mentre il tracciato della tangente a una conica è un «problema piano», cioè per risolverlo basta utilizzare l’intersezione di rette e circonferenze, il tracciato della normale di una conica con centro da un punto qualsiasi è un «problema solido»: risulta impossibile risolverlo utilizzando sola¬ mente rette e circonferenze. È invece risolvibile mediante luoghi geometrici solidi (in questo caso, un’iperbole). ALCUNI ASPETTI DEL LIBRO VI Il Libro VI delle Coniche, con 33 proposizioni e 10 definizioni, si occupa principalmente dell’uguaglianza e della somiglianza delle sezioni coniche e dei relativi segmenti. La corrispondenza delle curve di secondo ordine non era materia completamente innova¬ tiva. Le definizioni più importanti del libro sono le prime due. — Definizione 1: Due sezioni coniche si dicono uguali quando si possono applicare l’una all’altra in tutta la loro estensio¬ ne, senza che si tagliano. — Definizione 2: Due sezioni coniche si dicono simili quando, tracciando lo stesso numero di ordinate dal vertice a di¬ stanze proporzionali, sono proporzionali alle ascisse cor¬ rispondenti. Quanto alle proposizioni, emergono la VI.l e la VI.2: — Proposizione VI.l: Due parabole sono uguali se e solo se lo sono i suoi parametri. — Proposizione VL2: Due iperboli o due ellissi sono uguali se e solo se le figure costruite sui loro assi trasversi sono equivalenti e simili. Delle rimanenti proposizioni, vale la pena menzionare le se¬ guenti: 108 SU INTERSEZIONI, SEGMENTI ESTREMI, SOMIGLIANZE, TANGENTI E NORMALI
— Proposizione VI. 11: Tutte le parabole sono simili tra loro. — Proposizione VI. 14: Una parabola non può essere simile a un’iperbole o a un’ellisse. — Proposizione VI. 15: Un’iperbole non può essere simile a un’ellisse. — Proposizione VI.24: Nessuna parte di una parabola può essere simile a una parte di un’iperbole o di un’ellisse — Proposizione VI.25: Nessuna parte di qualsiasi delle tre coniche è un arco di cerchio. — Proposizione VI.26: Le iperboli prodotte, tagliando le due facce di un cono con piani paralleli, sono simili e disuguali. — Proposizione VI.27: Le ellissi prodotte tagliando un cono con due piani paralleli, che si trovino ai lati del triangolo secondo l’asse e che non siano paralleli né antiparalleli alla base, sono simile e disuguali. Le proposizioni finali, dalla VI.28 al VI.33, costituiscono il pa¬ radigma dell’eleganza geometrica di Apollonio nei modelli tridi¬ mensionali. IL LIBRO VII, NONCHÉ L’ULTIMO Il Libro VII delle Coniche, con 51 proposizioni, espone la teoria dei diametri coniugati e delle figure costruite su essi. In realtà, alcune delle sue proposizioni più importanti si possono trovare ancora oggi nei testi moderni relativi alle coniche, due millenni dopo che Apollonio le espose. Sono le proposizioni 12, 13, 29, 30, 31. Bisogna anche evidenziare l’importanza delle proposizioni VII. 12 e VII. 13, chiamate «teoremi di Apollonio», di cui si può dare la seguente sintesi: In ogni ellisse la somma, e in ogni iperbole la differenza, di due quadrati costruiti su due diametri coniugati qualsiasi è uguale alla somma o alla differenza, rispettivamente, dei qua¬ drati costruiti sugli assi. SU INTERSEZIONI, SEGMENTI ESTREMI, SOMIGLIANZE, TANGENTI E NORMALI 109
Benché Apollonio avesse scoperto molte altre relazioni geo¬ metriche, queste due proposizioni sono passate agli annali della storia della matematica e sono note come «teoremi di Apollonio». Le proposizioni VIL29 e VII.30 provano che la differenza (in VIL30, «somma») tra il quadrato di un diametro qualsiasi di un’iperbole (in VIL30, «ellisse») e la figura costruita su di esso (cioè, la figura rettangolare caratteristica, la cui base è un diametro e la cui altez¬ za è il parametro corrispondente a questo diametro) è costante. Infine, sottolinea l’importanza della proposizione VII.31, che con¬ clude così: Il parallelogramma costruito su due diametri coniugati di un’ellisse, o dei rami opposti di due iperboli coniugate, è equi¬ valente al rettangolo costruito sugli assi. Questo teorema, complementare alle proposizioni VII. 12 e VII. 13, dimostra l’invarianza del rettangolo costruito su un due diametri coniugati di un’ellisse o di un’iperbole. E lo fa con un ingegno che, più avanti, sarebbe stato definito dal fisico e matematico francese Blaise Pascal (1623-1622) come «una miscellanea dello spirito della geometria e dello spirito della finezza». no SU INTERSEZIONI. SEGMENTI ESTREMI, SOMIGLIANZE, TANGENTI E NORMALI
CAPITOLO 4 Altre opere matematiche di Apollonio Apollonio compose altre opere matematiche oltre a. Le Coniche e a Separazione di un rapporto, le uniche conservate nella loro integrità. Benché la maggior parte sia andata perduta, di alcune di esse abbiamo qualche informazione o disponiamo di qualche frammento grazie a Pappo di Alessandria. A questi lavori geometrici si aggiungono diverse opere di aritmetica, ottica e astronomia che, recensite da altri autori, glorificano ancor più il lascito del «Grande geometra».
Il prestigio dell’opera principe di Apollonio, Le Coniche, normal¬ mente eclissa i molti altri trattati matematici del sommo di Perga, che costituirono (e in alcuni casi costituiscono) un’importante produzione parallela di modelli di analisi geometrica. Sfortuna¬ tamente, se ne conoscono pochi e, inoltre, in modo frammentario. Si trovano nei sommari del libro VII della Collezione matemati¬ ca di Pappo di Alessandria. Tale libro si apre con il cosiddetto Tesoro dell’analisi, cui, tra le altre questioni, si aggiungono i tito¬ li di sei tra i più importanti lavori di Apollonio: Separazione di un rapporto; Separazione di un'area data; Sezione determina¬ ta; Tangenze; Luoghi piani; Inclinazioni. A tale riguardo, Pap¬ po scrisse la seguente riflessione: Il campo dell’analisi è la materia precipua a disposizione di coloro che, dopo avere acquisito le conoscenze elementari, vogliano ci¬ mentarsi nella risoluzione dei problemi relativi alle curve superio¬ ri. Seguendo il sentiero tracciato dall’analisi e dalla sintesi, scopria¬ mo che questa materia è stata trattata da tre uomini: Euclide, l’autore degli Elementi, Apollonio di Perga e Aristeo il Vecchio. Il Tesoro dell'analisi è costituito, come segnalò Pappo, dalle opere perdute di Euclide e di Aristeo il Vecchio, ma fondamen¬ talmente dai lavori di Apollonio, anch’essi perduti o conservati ALTRE OPERE MATEMATICHE DI APOLLONIO 113
in modo parziale. Nonostante ciò, le descrizioni date da Pappo permettono di ottenere un’idea relativamente approssimativa del loro contenuto, ed evidenziano che, all’intemo delle loro pagine, si trovava un abbondante materiale geometrico, il cui studio è ancora oggi parte dell’attuale geometria analitica. Questo spiega come, durante il xvi e xvn secolo, tra i matematici del tempo ser¬ peggiasse un’autentica ossessione, quasi una «moda», un gioco intellettuale di alto livello: la ricostruzione geometrica delle ope¬ re perdute di Apollonio. Tra tutti quelli che si arrischiarono in questa impresa spiccò, in particolar modo, il matematico france¬ se Pierre de Fermat (1601-1665). senza nulla togliere a tutti gli altri. Precisamente, nel lavoro di Fermat risiede l’origine della geometria analitica. Secondo Pappo, si deve ad Apollonio la codificazione classi¬ ca dei problemi geometrici in «piani, solidi e lineari», come siano risolvibili, rispettivamente, con rette e circonferenze, coniche o altre curve superiori (come la concoide di Nicomede, la spirale di Archimede, la cissoide di Diocle, la quadratrice di Ippia e di Dinostrato ecc). Il suo proposito principale era quello di adatta¬ re l’apertura alare degli strumenti geometrici utilizzabili alla dif¬ ficoltà dei problemi geometrici da risolvere. «I primi inventori della geometria analitica avevano a loro disposizione tutta l’algebra rinascimentale, mentre Apollonio dovette lavorare con gli strumenti dell’algebra geometrica, molto più rigorosa, ma contemporaneamente molto più scomoda di maneggiare.» — Cabl B. Boyeb. Anche altri autori apportarono contributi su vari lavori per¬ duti di Apollonio, che si conoscono, in mancanza di maggiori informazioni, come La vite, Sulla comparazione tra il dodeca¬ edro e l'icosaedro inscritti in una sfera, Quantità irrazionali non ordinate, Sulla moltiplicazione, Ocytocion. A essi bisogna aggiungere un riassunto degli Elementi di Euclide, di cui si ha 114 ALTRE OPERE MATEMATICHE DI APOLLONIO
LAVORI PERDUTI SULL’OTTICA E SULL’ASTRONOMIA Alcune referenze riportano che Apollonio compose due opere di ottica, in cui applicò le proprietà della geometria allo studio dei feno¬ meni naturali. Così, un frammento di testo scritto in greco relativo alla matematica dell’Antichità gli attribuisce un trattato sulla catottrica (le proprietà della luce riflessa) e un altro sugli specchi ustori (specchi concavi che riflettono i raggi solari e li concentrano su un fuoco, dove si produce un calore capace di bruciare, fondere o volatilizzare oggetti). Apollonio si mostrò molto più attivo nel cam¬ po dell’astronomia, dove diverse fonti riferi¬ scono che a lui sono dovuti vari artifici mate¬ matici, ampiamente utilizzati nel mondo antico, per interpretare il movimento dei pianeti. Per esempio, Claudio Tolomeo (100 -168), in un esteso passaggio della sua opera più celebre, l'Almagesto, gli attribuì la dimostrazione (non tanto la scoperta) del pro¬ cedimento per la rappresentazione attraverso epicicli dei fenomeni delle orbite e dei moti retrogradi dei pianeti. Il tema fu confermato da Proclo Licio Diadoco (412-485) nella sua opera Hypotyposis, dove menzionò che Tolomeo aveva usato i risultati di Apollonio nel Libro XII deU'Almagesto. Al posto delle sfere omocentriche suggerite dal matematico platonico Eu- dosso, Apollonio descrisse due sistemi disgiuntivi: uno, a partire da movi¬ menti epiciclici, e un altro in base a movimenti eccentrici. Sistema epiciclico e sistema eccentrico Nel primo sistema, un pianeta P si muove in maniera uniforme e descrive un’orbita circolare minore, chiamato «epiciclo» il cui centro C gira, a sua volta e in maniera uniforme, su una circonferenza di un cerchio maggiore, con centro nella Terra T. Nel secondo sistema, chiamato «eccentrico», il pia¬ neta P si muove in maniera uniforme e descrive un’orbita circolare maggiore il cui centro C si muove, a sua volta e in maniera uniforme, su una circonfe¬ renza di un cerchio minore, con centro nella Terra T. Quando si ha PC = C’T, i due sistemi geometrici sono equivalenti, cosa che Apollonio conosceva alla perfezione. Nei secoli, a partire dall’intervento di Tolomeo, gli astronomi ma¬ tematici preferirono gli schemi astronomici di Apollonio di cicli ed epicicli o circoli eccentrici. Invece, grazie ad Aristotele, gli astronomi con un orienta¬ mento più filosofico si dedicarono alla teoria delle sfere omocentriche di Eudosso, con cui pretendevano di ricavare una rappresentazione globale dei movimenti approssimativi dei pianeti. Rappresentazione dei sistemi epiciclico ed eccentrico descritti da Apollonio. ALTRE OPERE MATEMATICHE DI APOLLONIO 115
notizia grazie a Marino, un matematico e filosofo greco del v se¬ colo. All’interno di tale trattato Apollonio avrebbe presentato la nozione di linea come risultato di una percezione sensoriale; e quella di angolo, come la contrazione in un solo punto di una superficie, o di un solido sotto una linea, o di una superficie ar¬ cuata. Pertanto, suppose una prima prova di riforma del trattato classico di Euclide, soprattutto nella parte delle definizioni e de¬ gli assiomi, la più trascurata. Ugualmente, Apollonio diresse i suoi sforzi allo studio dell’ot¬ tica e, ancor più, dell’astronomia, dove una delle sue dimostra¬ zioni fu usata per diversi secoli dagli astronomi matematici. GLI SCRITTI SALVATI DA PAPPO Tra i lavori meno conosciuti di Apollonio ce n’è uno che è soprav¬ vissuto nella sua integrità, tradotto in latino da una copia araba dall’astronomo, fisico e matematico britannico Edmond Halley. Si tratta dell’opera che Pappo recensì sotto il titolo di Separa¬ zione di un rapporto. Precisamente, questa menzione avrebbe condotto Halley al suo felice ritrovamento nel 1710. Il trattato si divide in due libri che contengono 20 lemmi e 184 proposizioni, tutte relative ai numerosi casi di risoluzione di un problema che, in sintesi, Pappo enunciò così: Date due rette e due punti su esse, tracciare da un terzo punto un’altra retta che tagli i precedenti in segmenti, che, misurati su esse dai rispettivi punti dati, siano in rapporto tra loro. Il problema analitico conduce all’equazione quadratica: sur - x2 = bc. Raffrontando la soluzione di questo problema con la propo¬ sizione III.41 del libro delle Coniche (che dimostra che quando tre tangenti di una parabola si tagliano reciprocamente rimango¬ no divise, rispettivamente, nello stesso rapporto), diventa eviden- 116 ALTRE OPERE MATEMATICHE DI APOLLONIO
te che Apollonio si trovava già in condizione di tracciare un nu¬ mero qualsiasi di tangenti alla parabola. Di conseguenza, poteva risolvere il problema della costruzione della parabola con il pun¬ to medio delle tangenti. La seconda opera di Apollonio menzionata da Pappo, Sepa¬ razione di un'area, è perduta. A ogni modo, Pappo precisò che il trattato si componeva di due libri che racchiudevano rispetti¬ vamente 48 e 74 proposizioni. Tutte esse si riferivano a casi par¬ ticolari del problema che Pappo enunciò nel seguente modo: Date due rette e due punti su esse, tracciare per un terzo punto un’altra retta che tagli i precedenti in segmenti, che, misurati su esse dai rispettivi punti dati, delimitino un’area equivalente a un’area data. Il problema analitico conduce all’equazione quadratica: ar + x1 = bc. Se si consulta la soluzione di questo problema nelle propo¬ sizioni III.42 e III.43 del terzo libro delle Coniche, si comprende immediatamente che essa permette di costruire un numero qual¬ siasi di tangenti all’ellisse e all’iperbole; e, pertanto, risolve il problema della costruzione di queste due coniche per mezzo di tangenti. Grazie alla potenza dell’eredità cartesiana e fermatiana, cioè alla geometria analitica, i problemi di questi due libri si riducono semplicemente a un’intersezione di conica. In ogni caso, Apollo¬ nio applicò con somma abilità l’algebra geometrica dei libri II e VI degli Elementi di Euclide per ridurre 1’«equazione» (si passi l’anacronismo) a una forma canonica in cui si riconoscesse qual¬ cuna delle tre coniche, mediante trasformazioni geometriche successive. In questa maniera, si può immaginare come Apollo¬ nio, facendo leva sulle proprie estese conoscenze delle curve coniche, poté procedere in modo tanto brillante alla risoluzione dei problemi. Sulla terza opera di Apollonio, intitolata Sezione determina¬ ta, Pappo indicò che i due libri che la componevano contavano 83 proposizioni. Queste erano precedute da 27 lemmi, nel primo ALTRE OPERE MATEMATICHE DI APOLLONIO 117
libro, e da 24 lemmi, nel secondo. In un linguaggio retorico som¬ mamente confuso, Apollonio, secondo la trascrizione di Pappo, espose il seguente problema, qui riportato con una terminologia moderna: Dati quattro punti A, B, C, D sulla stessa retta, si trovi un quinto punto P su essa, in modo che il rettangolo costruito su AP e CP sia in rapporto con quello costruito su BP e DP. Come nei casi precedenti, il problema è equivalente alla ri¬ soluzione di equazioni quadratiche. Con esse si trattano tutte le varianti che si presentano, come soluzioni corrispondenti. TRATTATI SU TANGENZE E LUOGHI PIANI Una delle opere perdute più rilevanti di Apollonio tratta delle tangenze. Secondo Pappo, questo lavoro abbracciò due libri e ricevette il titolo di Tangenze, nome che allude alla concezione della tangente nella geometria greca. Il valore principale di Tan¬ genze è che nelle sue pagine appare il problema dei cerchi di «Apollonio», conosciuto storicamente come il «problema di Apollonio». Il famoso problema tratta delle proposizioni secondo cui, «dati tre elementi, che possono essere punti, linee rette o cerchi, dati in posizione, si tenti di tracciare un cerchio che sia tangente ai tre elementi dati, o che li contenga in caso di punti». Effettuan¬ do le combinazioni dei tre elementi geometrici (punti, rette o circonferenze), risultano dieci casi: 1 2 31. Dati tre punti non allineati, costruire una circonferenza che li contenga. 2. Date tre rette, costruire una circonferenza che sia tan¬ gente alle tre rette. 3. Dati due punti e una retta, costruire una circonferenza tangente alla retta e che contenga i due punti. 118 ALTRE OPERE MATEMATICHE DI APOLLONIO
4. Dati due rette e un punto, costruire una circonferenza che sia tangente alle due rette e che contenga il punto. 5. Dadi due punti e una circonferenza, costruire una circon¬ ferenza che contenga i due punti e sia tangente alla cir¬ conferenza data. 6. Dati due circonferenze e un punto, costruire una circon¬ ferenza che contenga il punto e che sia tangente alle due circonferenze date. 7. Date due rette e una circonferenza, costruire una circon¬ ferenza che sia tangente alle rette e alla circonferenza data. 8. Date due circonferenze e una retta, costruire una circon¬ ferenza che sia tangente alla retta e alle due circonferen¬ ze date. 9. Dati una circonferenza, una retta e un punto, costruire una circonferenza che passi per il punto e sia tangente alla retta e alla circonferenza data. 10. Date tre circonferenze, costruire una circonferenza che sia tangente a tre circonferenze date. I primi due casi, che sono i più semplici, appaiono nel Libro IV degli Elementi di Euclide in relazione alla circonferenza cir¬ coscritta e inscritta, rispettivamente, a un triangolo. Il primo caso è sviluppato nella proposizione IV.5; il secondo, nella pro¬ posizione IV.4. I casi 3, 4, 5, 6, 8, 9 figurano nel Libro I di Tan¬ genze di Apollonio, mentre i casi 7 e 10 si trovano nel Libro II della stessa opera. Non si sa quali furono con esattezza le soluzioni di Apollo¬ nio, ma si possono intuire grazie all’informazione riportata da Pappo. Egli affermò che l’opera si componeva di 21 lemmi, 60 proposizioni eli problemi, tra cui il più difficile era l’ultimo: Costruire un cerchio che sia tangente a tre cerchi dati. Attualmente, quest’ultimo problema è considerato quasi ele¬ mentare, dati gli strumenti geometrici di cui oggi disponiamo. Tuttavia, la ricostruzione della sua soluzione, perduta dall’epoca ALTRE OPERE MATEMATICHE DI APOLLONIO 119
di Pappo, stimolò la curiosità dei più insigni matematici. Le dif¬ ficoltà inerenti al problema, sperimentate dai geometri del xvi, xvii e xviii secolo, suggerirono a numerosi eruditi che Apollonio probabilmente non risolse mai l’ultimo caso, fatto che elevò il tema alla categoria di sfida intellettuale. Tra gli scienziati che più si impegnarono nella ricerca della soluzione, bisogna citare i matematici francese François Viète (1540-1603) e Cartesio (René Descartes, 1596-1650), senza dimenticare i contributi suc¬ cessivi del fisico e matematico inglese Isaac Newton (1642-1727), del fisico e matematico svizzero Eulero (Leonhard Euler, 1707- 1783), noto come Eulero, e del matematico francese Jean-Victor Poncelet (1788-1867). «In matematica esiste una strada nella ricerca della verità che, come si è detto, Platone scoprì per primo. Teone di Alessandria la chiamò analisi.» — François Viète. Precisamente, Viète fu il primo matematico che propose una soluzione, a titolo di sfida, al prolifico matematico fiammingo Adriaan van Roomen (1561-1615). Questo gli trasmise una rispo¬ sta che situava il centro del cerchio nel punto di intersezione di due iperboli. Viète la stimò insoddisfacente e replicò con un’altra soluzione che, secondo il suo criterio, era «più semplice e più concorde col carattere degli antichi geometri, i quali non ammet¬ tevano altro che la retta e il cerchio per la risoluzione dei proble¬ mi piani». Tale soluzione fu raccolta in un’opera di notevole inte¬ resse, Apollonius GaUus (1600), dove Viète ricostruì parzialmente il trattato sulle Tangenze di Apollonio. A partire dai casi più sem¬ plici, in cui una o più delle tre circonferenze si riducono a punti o rette, il matematico francese giunse fino all’ultimo caso, il de¬ cimo e il più difficile: quello delle tre circonferenze. Questa co¬ struzione si stagliò come uno dei più begli esercizi geometrici di Viète ed è considerata come uno dei suoi maggiori contributi alla matematica. 120 ALTRE OPERE MATEMATICHE DI APOLLONIO
FOTO IN ALTO Newton (1795), idealizzato secondo il gusto dei geometri greci dal pittore e incisore inglese William Blake. FOTO IN BASSO A SINISTRA Cartesio trasse vantaggio dai ritrovamenti delle Coniche e portò la geometria a un stadio superiore. FOTO IN BASSO A DESTRA La risoluzione dei problemi di Apollonio impegnò matematici davvero brillanti come Eulero. ALTRE OPERE MATEMATICHE DI APOLLONIO 121
In seguito, Cartesio approcciò il problema con l’analisi al¬ gebrica e realizzò laboriosi calcoli che incluse nella corrispon¬ denza che intrattenne con Elisabetta di Boemia, Principessa Palatina (1618-1680), figlia del re Federico V. I nuovi studi indussero Cartesio a considerare il problema di Apollonio nello spazio e a proporre la cosa sotto un enuncia¬ to generale che avrebbe seguito i modelli di Fermat. Costui la¬ sciò soluzioni di grande bellezza in varie sue opere, dove arrivò a enunciare con queste parole il problema spaziale generale: Dati quattro elementi tra punti, piani e sfere, descrivere una sfera che, passando per i punti, sia tangente ai piani o alle sfere. II problema del cerchio tangente a tre cerchi continuò a es¬ sere oggetto di molti lavori algebrici. Uno di essi, di grande in¬ teresse e carattere analitici, fu realizzato da Elisabetta di Boe¬ mia, che lo comunicò a Cartesio per via epistolare. Anche Isaac Newton, nel suo Arithmetica Universalis (1707), propose soluzioni analitiche per alcuni casi del «proble¬ ma di Apollonio». In principio, questi andavano a confluire nel¬ le costruzioni geometriche che erano già state già descritte da Viète, ma Newton, con la sua nota genialità, ottenne una solu¬ zione propria per il caso più generale: cioè quello del cerchio tangente a tre cerchi differenti. Newton lo fece nella sua opera più importante, Philo- sophiae Naturalis Principia Mathematica (1687), dove sem¬ plificò il metodo di Adriaan van Roomen e mostrò che il proble¬ ma di Apollonio era equivalente al trovare una posizione conoscendo le differenze di distanze da tre punti noti. Newton espose queste conclusioni nel Libro I, sezione IV, lemma 1. La questione suscitò tutta una serie di soluzioni analitiche promosse da una moltitudine di matematici. Oltre a Guillaume François Antoine, marchese de L’Hôpital (1661-1704), che prese in considerazione diversi tipi di cerchi, giunsero soluzioni per mano mano del britannico Thomas Simpson (1710-1761), dell’i¬ taliano Giuseppe Torelli (1721-1781) e del matematico svizzero Eulero (Leonhard Euler, 1707-1783). 122 ALTRE OPERE MATEMATICHE DI APOLLONIO
In altri luoghi, Pappo affermò che Apollonio aveva scritto anche un’opera sui Luoghi piani in due libri, che riunivano 147 teoremi con numerose figure e otto lemmi. A giudicare dai chia¬ ri enunciati degli otto teoremi del secondo libro tramandati da Pappo, l’opera di Apollonio probabilmente costituì una prezio¬ sa collezione di teoremi sulla retta e il cerchio, che attualmente corrisponderebbero alle soluzioni delle equazioni di primo e secondo grado. Come si è detto, i due libri sui Luoghi piani studiavano luoghi geometrici rettilinei o circolari. Buona parte del primo libro può essere riassunta, mediante un linguaggio geometrico moderno, con la seguente affermazione: l’omotetia, la traslazione, la rotazione, la somiglianza e l’inversione trasformano un «luogo piano in un altro luogo piano». È giusto notare anche che nel secondo libro appaiono due importanti luoghi geometrici: a) Il luogo geometrico dei punti, la cui differenza dei quadrati delle loro distanze rispetto a due punti fissi A e B è costante, è una retta perpendicolare al segmento AB. b) Il luogo geometrico dei punti il cui rapporto delle distanze da due punti fissi è costante, è una circonferenza. «INCLINAZIONI» La Collezione matematica di Pappo include anche un’altra ope¬ ra di Apollonio divisa in due libri: Inclinazioni. Il trattato conte¬ neva tutta una serie di proposte in cui certe rette inclinate, cioè dirette verso un punto dato, sono intercettate su una lunghezza data da due linee (rette o archi di circonferenze) date. Secondo l’informazione data da Pappo, Inclinazioni conteneva 38 lemmi, 125 teoremi e 54 problemi, tra cui una certa quantità si prestava a discussioni. Pappo di Alessandria, con grande rigore e minuziosità, riportò quell’enunciato completo. A mo’ di esempio, si può riportare il seguente, di carattere molto generale: ALTRE OPERE MATEMATICHE DI APOLLONIO 123
Inserire un segmento di lunghezza data in due rette secanti (o due archi di circonferenza, o una retta e un arco di circonferenza), in modo tale che questo segmento prolungato passi per un punto dato. Si sa che i problemi sui marcatori in generale non ammetto¬ no soluzione mediante la geometria elementare. Dato che il suo studio analitico riporta a equazioni di secondo grado, tali pro¬ blemi si riconducono a una determinazione di punti che sono intersezione di sezioni coniche. Il problema generale della se¬ cante, che passa per un punto dato e intercetta, su una lunghez¬ za determinata, due linee rette o curve, era noto già tempo die¬ tro, specialmente da Aristotele. Il sapiente greco, senza conoscere l’applicazione delle sezioni coniche, non poté ottene¬ re altro che soluzioni meccaniche, cioè empiriche. D’altra parte, quasi mezzo secolo prima di Apollonio, Archi- mede alluse in varie occasioni a casi particolari del problema della secante, cosa che dimostra che la scienza del suo tempo era già in grado di darne una soluzione. In realtà, Archimede le utilizzò nelle ingegnose proposte preliminari del suo trattato Sulle spirali; nella proposizione IV del Libro II del trattato Sul¬ la sfera e il cilindro, e nella proposizione Vili del Libro dei lemmi. Dunque, questi casi particolari appartengono alla cate¬ goria che Pappo denominò «problemi solidi», per la cui soluzio¬ ne devono intervenire sezioni di corpi solidi, cioè sezioni coni¬ che. Pappo l’oppose ad altri due concetti: ai «problemi piani», dove non si richiede altro che l’intervento di riga e compasso, cioè linee che hanno la propria origine primigenia nel piano; e ai «problemi lineari», che esigono l’intervento di linee curve di¬ verse rispetto a quelle di secondo grado, cioè quelle linee che hanno la propria origine su superfìci irregolari o di generazione cinematica a base di combinazione di movimenti, come le con¬ coidi, le cissoidi, le quadratrici, le spirali, eccetera. Possiamo quindi concludere che in questa opera perduta di Apollonio, Inclinazioni, comparvero problemi «solidi» e «line¬ ari» e si rinnovarono le tecniche utilizzate da Archimede. Per¬ tanto, il lavoro non fu completamente originale, ma costituì piuttosto una raccolta. In essa, Apollonio ordinò i problemi sul¬ 124 ALTRE OPERE MATEMATICHE DI APOLLONIO
le secanti risolte in precedenza, determinò il numero di soluzio¬ ni e le proprie condizioni di risolvibilità e, infine, arricchì l’insie¬ me aggiungendo le proprie scoperte. Secondo un commento del filosofo neopitagorico Giamblico di Calcide (250 circa-330 circa) sulle Categorie di Aristotele, conservato a sua volta nei com¬ menti di Simplicio (490 circa-560 circa) sulla Fisica di Aristote¬ le, Apollonio avrebbe trovato una quadratrice che quale chiamò «la sorella della concoide». Tuttavia, Pappo sostenne che questa curva era esattamente la «concoide di Nicomede», utilizzata per la risoluzione di un celebre problema classico: la «trisezione» dell’angolo. Perciò, Apollonio conobbe questa curva di natura trascendente e inoltre, secondo Pappo, la utilizzò nella soluzio¬ ne di alcuni dei problemi che approcciò in Inclinazioni. A fron¬ te di quanto descritto, si trattò di «problemi lineari». In concre¬ to, si sa che: Tutti i problemi relativi alla secante passante per un punto dato, e intercettata su una lunghezza data da due linee date, delle quali una di esse è una retta, possono essere risolti con una concoide, il cui polo è il punto per cui deve passare la secante. Bisogna segnalare che Apollonio non trattò tutti i problemi delle secanti come se fossero «problemi solidi», cioè mediante l’intervento delle sezioni coniche, ma riuscì a supporre molti di essi come «problemi piani» e, pertanto, suscettibili di essere ri¬ solti con riga e compasso. Una dimostrazione di ciò si può vede¬ re in questo problema, il cui enunciato fu riportato da Pappo: Dato un rombo, si prolunghi un lato, si tracci una retta uguale a una lunghezza data (intercettata) nell’angolo esterno e inclinata verso l’angolo opposto (cioè, passante per il vertice dell’angolo opposto all’angolo supplementare di quest’angolo esterno). La soluzione ispirò numerose ricostruzioni con diverse va¬ rianti, come quelle offerte da Christiaan Huygens, dal matemati¬ co dalmata Marino Ghetaldi (1568-1626) e dal matematico spa¬ gnolo Antonio Hugo de Omerique (1634-1705). ALTRE OPERE MATEMATICHE DI APOLLONIO 125
OPERE PERDUTE E QUASI SENZA RIFERIMENTI Tra i lavori di Pappo si evince che Apollonio fu un autore davve¬ ro prolifico e appassionato dello studio della geometria, ragione per cui dispiace davvero che tante sue opere siano andate per¬ dute. In alcuni casi, Pappo dovette limitarsi a riferire 1’esistenza di diversi trattati di Apollonio attraverso gli scarsi riferimenti offerti da altri autori, e dedurne titoli più o meno fedeli al conte¬ nuto, quando ignoti. Pertanto, a fronte di questa precisazione, possono essere considerarsi come opere perdute di Apollonio La vite, Sulla comparazione tra il dodecaedro e Vicosaedro inscrit¬ ti in una sfera, Quantità irrazionali non ordinate, Sulla mol¬ tiplicazione, Ocytocion e il riassunto degli Elementi di Euclide, i cui tratti generali sono già stati commentati. Il primo di questi lavori è La vite. Gemino di Rodi, un astrono¬ mo e matematico greco del i secolo a.C. , di cui abbiamo già par¬ lato in precedenza, riportò che Apollonio avrebbe scritto un’opera sulla vite, di cui si ignora quasi totalmente il contenuto. Rimango¬ no soltanto alcuni riferimenti effettuati da geometri successivi; in particolare, quelli del filosofo neoplatonico Proclo Lido Diadoco (412-485), che lo citò nei suoi Commenti sul primo libro degli Ele¬ menti di Euclide. Anche lo stesso Pappo fece riferimento ad Apol¬ lonio circa il tema della costruzione della vite, nel corso di una proposizione meccanica nel Libro Vili della sua Collezione mate¬ matica. Quindi, è probabile che lo scritto di Apollonio citato da Proclo contenesse una «teoria geometrica dell’elica». In altri luoghi, Proclo Lido Diadoco attribuì a Pitagora la costruzione di «figure cosmiche». Tale definizione è relazionata con il suo utilizzo nell’elaborazione di una cosmogonia pitagori¬ ca che associava, rispettivamente, i quattro elementi primari (fuoco, terra, aria, acqua) con i quattro solidi (tetraedro, cubo, ottaedro, icosaedro), mentre il dodecaedro si riferiva in modo mistico al cosmo, rappresentazione dell’universo armonico ordi¬ nato dal numero. Precisamente, il dodecaedro e l’icosaedro avrebbero dovuto ispirare un altro trattato geometrico perduto di Apollonio, benché occorrano alcune spiegazioni per rendere conto delle motivazioni che lo ispirarono. 126 ALTRE OPERE MATEMATICHE DI APOLLONIO
LE LODI Dl NEWTON AD ANTONIO HUGO DE OMERIQUE Il matematico spagnolo Antonio Hugo de Omerique (1634-1705), autore di Analisi geometrica o Metodo di risoluzione di pro¬ blemi nuovi e veri, nonché di Questioni arit¬ metiche (1698), si rivelò come un notevole uomo di scienza alla fine del xvn secolo, tanto da raccogliere l'elogio di Isaac Newton. Il suo metodo seppe raccogliere i contributi dei geometri classici, come Apollonio di Perga, senza disprezzare quel¬ li più recenti, e si orientò allo studio delle proporzioni. Tra gli altri concetti, Omerique approcciò la costruzione di triangoli, la so¬ miglianza delle figure, le «quantità linean¬ golari» ecc. Newton, che in seguito pubblicò la sua Arit¬ metica Universalis (1707), scrisse in una delle sue lettere che aveva studiato a fondo l'opera di Omerique e la definì come «giu¬ diziosa e di valore», poiché esponeva «nel modo più semplice, il metodo di restaurare l'analisi degli antichi, che è più ingegnoso e più adatto a un geometra rispetto all’algebra dei moderni». Newton non risparmiò elogi a questo trattato di geometria e aggiunse in tale missiva che il metodo di Omerique conduceva generalmente a solu¬ zioni più semplici ed eleganti di quelle altre ottenute con l’algebra». Ome¬ rique fu impegnato in gioventù come commerciante navale, ma la pirateria rovinò il suo commercio. Sebbene la sua consacrazione alla matematica gli fruttò alcuni riconoscimenti in vita, la sua situazione economica fu sempre precaria e morì tra i debiti. Frontespizio della prima edizione di Analisi geometrica (1698), di Antonio Hugo de Omerique. Non bisogna perdere di vista che il trattamento euclideo dei poliedri regolari risulta essenziale per la storia della matematica, poiché produsse il primo esempio di un teorema fondamentale di classificazione. Euclide introdusse uno alla volta i diversi po¬ liedri regolari nel Libro XI degli Elementi. Così, definì il tetraedro (XI. 12), il cubo (XI.25), l’ottaedro (XI.26), l’icosaedro (XI.27), il dodecaedro (XI.28). L’oggetto dei teoremi del Libro XIII fu inscri- ALTRE OPERE MATEMATICHE DI APOLLONIO 127
IL PESO DI PLATONE SULLA GEOMETRIA Per secoli, i poliedri regolari furono chiama¬ ti «corpi platonici», per il ruolo rilevante che giocarono in un celebre dialogo sulla natu¬ ra scritto da Platone a metà del iv secolo a.C: il Timeo. In questo dialogo, il più pro¬ fondamente pitagorico di tutta la sua opera, Platone espose in modo mistico l’associazione che avrebbe fatto presumi¬ bilmente Pitagora sul tetraedro, il cubo, l’ottaedro e l’icosaedro in relazione ai quat¬ tro elementi naturali primari. Sebbene un secolo prima il filosofo Empedocle di Agri¬ gento avesse già vincolato questi ultimi con la costituzione di tutta la materia, la vene¬ razione pitagorica per il dodecaedro con¬ dusse Platone a considerarlo come la quin¬ tessenza: ai suoi occhi, questo solido, il dodecaedro, era il quinto elemento, la so¬ stanza dei corpi celesti, il simbolo mistico del cosmo. Infine, a seguito del rigoroso studio euclideo sui poliedri regolari o «corpi platonici», l’epoca di Apollonio li liberò in parte dal carattere misti¬ co che aveva attribuito loro la filosofia platonica e acquisirono, alla fine, un carattere più realistico. Statua di Platone, con la dea Atena sul fondo, all’entrata dell’Accademia di Atene. vere ognuno di essi in una sfera, cosa che ottenne successiva¬ mente nelle proposizioni da 13 a 17, dove trovò il rapporto tra il lato del solido e il diametro della sfera circoscritta. Il Libro XIII, e con esso tutta l’opera di Euclide, trova il suo climax finale nell’ultima proposizione: Costruire i cinque poliedri regolari inscritti nella stessa sfera e com¬ parare i lati delle cinque figure. Tuttavia, la conoscenza delle proprietà comparative recipro¬ che dei poliedri rimase abbastanza incompleta nello studio di Euclide, a dispetto della sua brillantezza e del carattere esaustivo. 128 ALTRE OPERE MATEMATICHE DI APOLLONIO
Ciò dovette ispirare a Apollonio nella stesura del suo trattato Sulla comparazione tra il dodecaedro e Vicosaedro inscritti in una sfera, di cui possediamo soltanto un passaggio, raccolto da Ipsicle di Alessandria, un astronomo e matematico che visse nel II secolo a.C., in una delle sue opere: La circonferenza circoscritta al pentagono regolare del dodecaedro e quella circoscritta al triangolo equilatero dell’icosaedro, entram¬ bi inscritti nella stessa sfera, è la medesima.. Ipsicle affermò che questo ritrovamento era stato descritto, da una parte, «per Aristeo, nella sua opera sulla comparazione delle cinque figure» (in riferimento ai poliedri), e, d’altra parte, «per Apollonio, nella sua seconda pubblicazione relativa alla comparazione tra il dodecaedro e l’icosaedro». In questo senso, richiama l’attenzione il fatto che nell’apocrifo Libro XIV degli Elementi di Euclide, che precisamente si attribuisce a Ipsicle, appaiano questi risultati: Il rapporto tra la superficie del dodecaedro e quella dell’icosaedro è la stesso di quello esistente tra il dodecaedro e l’icosaedro [cioè, il suo volume], perché la perpendicolare, tracciata dal centro della sfera sul pentagono del dodecaedro, è la stessa che viene tracciata dal centro della sfera sul triangolo dell’icosaedro. In definitiva, si può concludere che sia Sulla comparazione tra il dodecaedro e Vicosaedro inscritti in una sfera, sia La vite sono due opere irrimediabilmente perdute di Apollonio, dato che Pappo poté solo riportare gli scarni appunti di alcuni autori precedenti. INTERESSE PER L’ARITMETICA La stessa cosa si può dire di Quantità irrazionali disorganiz¬ zate, che conosciamo grazie a Proclo Licio Diadoco. Questi ri¬ portò che Apollonio aveva scritto su «quantità irrazionali non ALTRE OPERE MATEMATICHE DI APOLLONIO 129
ordinate» e assicurò che le stesse fossero «tenute in grande con¬ siderazione dal matematico». Di questi scritti relativi alle gran¬ dezze incommensurabili non si seppe niente fino al 1853, quando il matematico ed orientalista tedesco Franz Woepcke (1826-1864) tradusse una versione in arabo di un commento di Pappo sul Libro X degli Elementi. Il documento di Woepcke è impreciso, ma indica che Apollonio distingueva le specie di irrazionali ordi¬ nati e «scoprì la scienza delle quantità chiamate irrazionali non ordinate, che produsse un gran numero di metodi esatti». È probabile che, trattando le quantità irrazionali, Apollonio non abbandonasse ancora l’espressione geometrica delle proprietà nu¬ meriche, per considerare il numero nella sua assoluta purezza. Tut¬ tavia, si applicò con grande impegno all’aritmetica pratica, nota con il termine greco «logistica» e di uso abituale nel commercio e nei mestieri artigianali. L’importanza che diede Pappo a questo lavoro fa supporre che, estendendo la numerazione dei greci, limitata alla miriade quadrata, Apollonio ebbe nel campo dell’aritmetica un’au¬ torità prossima a quella di Euclide in geometria. In realtà, fissò in modo definitivo la numerazione dei numeri elevati, inaugurata da Archimede nella sua opera Arenario. Si può affermare che Quantità irrazionali non ordinate non fu l’unica opera di Apollonio che si addentrò nel terreno dell’arit¬ metica. Le sue inquietudini matematiche non poggiarono esclusi¬ vamente sulla geometria e compose altre due opere in cui appro¬ fondì l’aritmetica. La prima di esse è Sulla moltiplicazione, di cui si conserva una parte minuscola. Si tratta dell’analisi che Pappo realizzò sulla stessa, e che occupa un frammento del Libro II della sua Collezione matematica, e raccoglie 12 dei 26 teoremi del nuo¬ vo metodo di Apollonio per la moltiplicazione dei grandi numeri. Il metodo poggiava su due teoremi principali, regolando, da una parte, la moltiplicazione delle unità, delle decine e delle centinaia tra di loro; e dall’altra parte, la moltiplicazione di un numero per decine, centinaia e migliaia di miriadi di qualunque ordine. Pappo riprodusse i calcoli di un’operazione matematica con cui Apollonio esemplificò il suo metodo e proponeva di trovare quel «numero immenso» ottenuto moltiplicando l’insieme delle 38 lettere di un verso greco, prese per il loro valore numerico. 130 ALTRE OPERE MATEMATICHE DI APOLLONIO
La seconda di esse è YOcytocion, un trattato di calcolo rapi¬ do che fu menzionato da Eutocio di Ascalona nel suo commento a Sulla misura del cerchio di Archimede. In tale commento, Eu¬ tocio fece riferimento a certi lavori aritmetici di Apollonio, ri¬ spetto ad alcune considerazioni generali sulla relazione della circonferenza con il diametro: Apollonio di Perga dimostrò anche questo per mezzo di altri nume¬ ri, dando luogo a un’approssimazione più grande nell'Ocytocion. Eutocio calcolò che la misura data da Apollonio era più ri¬ gorosa di quella di Archimede, il cui approccio non rispondeva agli usi della vita quotidiana. Da ciò si deduce che Apollonio scrisse un’opera intitolata Ocytocion, in cui applicò un nuovo metodo per calcolare, mediante numeri molto grandi e operazio¬ ni molto perfezionate, una determinazione della relazione tra la circonferenza e il diametro. Archimede era stato il primo a cal¬ colarla; ma Apollonio, con il suo metodo, avrebbe ottenuto un valore molto più preciso. A chiusura di questo capitolo, possiamo affermare, in defini¬ tiva, che la perdita della maggior parte delle opere di Apollonio non sminuisce l’importanza della grandezza del suo lascito ma¬ tematico. E neppure il fatto che buona parte dei suoi lavori sia giunta a noi in forma parziale e frammentaria non toglie merito alla sua opera. Se si sommano la diversità e la qualità dei suoi lavori alle capacità scientifiche che dimostrò, in aggiunta al ca¬ rattere abile e innovatore delle sue scoperte, e si moltiplica il tutto per il suo straordinario apporto globale alla geometria, si ottiene un risultato uguale, sia che si eliminino le opere perdute o che ne rimangano alcune ignote, dal momento che l’equazione rimane più che serena: Apollonio di Perga non suolo fu uno dei più grandi matematici dell’Antichità, ma anche dell’intera storia della matematica. ALTRE OPERE MATEMATICHE DI APOLLONIO 131
CAPITOLO 5 Un lascito sempre vivo nelle scienze e nell’arte I risultati conseguiti da Apollonio nella sua ricerca matematica arricchirono la geometria, una scienza che sarebbe stata perfezionata da Cartesio, Fermat, Newton e altri grandi studiosi della sua opera. II dominio delle sezioni coniche aprì un orizzonte di possibilità che ispirò notevoli opere d’arte e ispira ancora oggi l’architettura attuale. Inoltre, propiziò applicazioni pratiche di carattere scientifico, come le antenne paraboliche e i satelliti.
Uno degli aspetti più fondamentali dell’opera di Apollonio è, sen¬ za dubbio, l’influenza che esercitò su Fermat e Cartesio in merito alla nascita della geometria analitica. Sebbene il tema richieda una lunga trattazione, ci concentreremo esclusivamente su due aspetti basilari: da una parte, la sua incidenza sulla geometria analitica di Fermat, a proposito della sua ricostruzione dei Luo¬ ghi piani di Apollonio; dall’altra, l’importanza del cosiddetto «problema di Pappo», come pietra miliare della geometria anali¬ tica cartesiana. Il problema di Pappo ebbe la sua origine in Eu¬ clide, ma il suo vero sviluppo lo si deve alla mano di Apollonio e dello stesso Pappo di Alessandria. Il lascito di Apollonio, inoltre, superò l’ambito della geome¬ tria per raggiungere diverse applicazioni pratiche di natura scien¬ tifica, attualmente di gran peso: per esempio, le antenne parabo¬ liche, i satelliti geostazionari o geosincroni, i forni e le centrali elettriche solari ecc. Allo stesso modo, tale eredità ha interessa¬ to anche le arti, in particolar modo l’architettura, dove ricoprì un ruolo chiave nella costruzione di opere tanto celebri come il Co¬ losseo e il pantheon di Agrippa a Roma, la piazza San Pietro del Vaticano, la Sagrada Familia di Barcellona e la Torre Eiffel di Parigi, senza trascurare edifici più recenti e con un chiaro gusto avanguardista, come la cattedrale di Brasilia, il ponte iperbolico di Manchester e la Casa Danzante di Praga. UN LASCITO SEMPRE VIVO NELLE SCIENZE E NELL'ARTE 135
LE SEZIONI CONICHE NELLA VITA QUOTIDIANA Le sezioni coniche sono molto presenti nella vita quotidiana. Come è na¬ turale, la circonferenza è quella più frequente. Tuttavia, guardando i corpi in prospettiva, gli oggetti circolari si vedono come ellissi. Così, per esempio, se si inclina un bicchiere, la parte superiore avrà la forma di ellisse, esatta¬ mente come quando si taglia un pezzo cilindrico di insaccato col coltello inclinato: le fette avranno una forma ellittica. Anche alcuni contenitori di latta sono ellittici, come le cornici di certi quadri, alcuni specchi e molti altri oggetti domestici. Per strada, numerosi messaggi pubblicitari, logo¬ tipi e segni sono ellittici. Con una torcia si possono ottenere coniche come l’ellisse o l’iperbole, e una lampada con schermo cilindrico o conico tronco proietterà sulla pare¬ te un’impronta illuminata di forma iperbolica, che può diventare ellittica o parabolica a seconda dell’inclinazione dell’asse della lampada. Se si lancia una palla, inizialmente va verso l’alto e in avanti, poi cade senza smettere di avanzare, descrivendo così una curva a forma di parabola invertita. Qua¬ si tutti i movimenti delle gare di atletica si riducono a parabole: quelle di chi lancia, di chi salta in lungo, di chi corre: ogni passo è una parabola. Gli esempi non finiscono qui, perché anche l’acqua del mare nel suo percorso disegna parabole, così come gli zampilli di acqua di alcune fontane spet¬ tacolari, che progettano belle parabole che crescono e decrescono a se¬ conda della forza con cui esce il liquido. Come altre fontane monumentali, i getti di acqua della Font Màgica de MontjuTc, a Barcellona, realizzano un complesso quadro geometrico nel quale predominano le parabole. 136 UN LASCITO SEMPRE VIVO NELLE SCIENZE E NELLARTE
Si può dunque affermare che i risultati di Apollonio non solo sono ancora attuali, ma proliferano e si sono perfezionati a livel¬ li sorprendenti. In realtà, come si è detto, si trovano perfino nel¬ lo spazio, dove i satelliti geostazionari ubbidiscono ad alcuni fondamenti che il «Grande geometra» stabilì nell’Antichità clas¬ sica, per non parlare dell’onnipresenza delle sezioni coniche nel¬ la vita quotidiana. In definitiva, Apollonio e Le coniche costitui¬ scono un capitolo fondamentale nella storia della matematica, arricchito in seguito dai contributi di Fermat e Cartesio, due dei più grandi prosecutori della sua ricerca. APOLLONIO E LA GEOMETRIA ANALITICA DI FERMAT Nel xvii secolo, Fermat studiò meticolosamente le opere di Diofanto, nonché i trattati di Pappo e Apollonio che, insieme a quelli di Viète favorirono la nascita di una geometria analitica. Fermat fi collegò ai lavori di Archimede e diede vita a numerosi metodi e calcoli infinite¬ simali. Affascinato dai tentativi di François Viète (1540-1603) e Ma¬ rino Ghetaldi (1568-1626) di ricostruire le opere perdute di Apollonio, ricostruì a sua volta i due libri dei Luoghi piani e studiò il celebre «problema di Apollonio» dei cerchi tangenti a tre cerchi e la sua generalizzazione nello spazio: le sfere tangenti a quattro «sfere». Nel 1637 Cartesio pubblicò la Geometria, insieme alla Diot¬ trica e alle Meteore, come appendici del suo Discorso sul meto¬ do. Lo stesso anno, Fermat informò i suoi colleghi parigini dei suoi studi circa la ricostruzione dei Luoghi Piani di Apollonio. Queste furono consegnate alle pagine dell'Introduzione ai luoghi piani e solidi (Isagoge ai luoghi piani e solidi), pubblicata nel 1679 da suo figlio all’interno della Varia Opera Mathematica. Le opere citate di Cartesio e Fermat contengono i fondamenti dalla futura geometria analitica. Fermat osservò che il punto debole dei metodi geometrici dei greci (per esempio in relazione alle quadrature) era insito nel fatto che si trattava di metodi di dimostrazione, non di scoperta. Non essendo generali né euristici, esigevano che si conoscesse UN LASCITO SEMPRE VIVO NELLE SCIENZE E NELLARTE 137
in anticipo la soluzione di un dato problema, per ottenerne una dimostrazione rigorosa. Fermat diede molte poche indicazioni sul motivo della transizione da Viète alla geometria analitica, ma probabilmente la sua motivazione principale fu di riuscire a tro¬ vare nuovi metodi più semplici, operativi e, soprattutto, più ge¬ nerali per la scoperta delle soluzioni. «Apollonio aveva scritto sui luoghi piani e Aristeo sui luoghi solidi, ma, se non ci sbagliamo, la ricerca sui luoghi non fu per loro per niente facile; lo affermiamo in base al fatto che, per un gran numero di luoghi, essi fallirono nella definizione del problema in maniera generale.» - Pierre de Fermat. Così sembrò pronunciarsi su Isagoge ai luoghi piani e soli¬ di, dove stabilì un principio fondamentale della geometria anali¬ tica: «la natura e la costruzione delle curve piane sono determi¬ nate dall’equazione canonica associata». Inoltre, introdusse l’idea fondamentale di variabile algebrica, basilare per lo sviluppo del calcolo, e sintetizzò uno dei principi più importanti della storia della matematica con queste parole: Ogni volta che in un’equazione finale si trovano due quantità inco¬ gnite, si ha un luogo geometrico, dal momento che l’estremo di una di esse descrive una linea retta o curva. La linea retta è semplice e unica nel suo genere; le tipologie di curve sono invece infinite, cerchio, parabola, ellisse ecc. Fermat diede un significato all’equazione algebrica con due incognite. Concepite entrambe come segmenti, la prima di esse si misura, a partire da un punto iniziale, lungo un asse dato, men¬ tre i segmenti corrispondenti che rappresentano l’altra incognita, determinati dall’equazione data, si elevano come ordinate, for¬ mando un angolo con l’asse. Nelle Coniche, certe «linee di rife¬ rimento» certe «linee di riferimento» (diametri coniugati o dia¬ metro-tangente), che svolgevano un ruolo di coordinate, si 138 UN LASCITO SEMPRE VIVO NELLE SCIENZE E NELLARTE
associavano a una curva data in modo che, attraverso l’algebra retorica, potessero essere espresse in funzione di quelle linee. Ma la curva era considerata entità geometrica a priori; e su lei, a partire dalla sua particolare struttura geometrica intrinseca, si sovrapponevano, a posteriori, le linee coordinate, la cui relazio¬ ne, descritta verbalmente, risultava come un’«equazione retorica» della curva. Fermat capovolse tutto: a partire da un’equazione algebrica con due incognite, illustrò come questa equazione de¬ finisse, rispetto a un sistema di coordinate dato, un luogo geome¬ trico di punti, cioè una curva. Non si deve attribuire a Fermat il primo utilizzo delle coor¬ dinate. Il ragionamento analitico e l’applicazione dell’algebra alla geometria erano comuni all’epoca. Ciò che rappresenta una no¬ vità, a partire da Fermat e Cartesio, è la constatazione che un’e¬ quazione algebrica a due incognite rappresenta, per se stessa, una curva geometrica determinata univocamente. Bisogna rile¬ vare anche che nessuno di essi parlò di un «sistema di coordina¬ te» o dell’idea di due assi (ascisse e ordinate). Fermat scelse convenientemente una linea retta che svolgesse il ruolo dell’asse delle x. In realtà, una semiretta, la cui origine era un punto fisso che, in seguito, si sarebbe chiamato «origine delle coordinate». Perciò, la geometria sviluppata a partire da questi presupposti sarebbe divenuta una «geometria delle ordinate», più che una «geometria delle coordinate». Inoltre, considerando le coordina¬ te come segmenti, Fermat restrinse le operazioni a quello che ora si chiama primo quadrante. Quindi realizzò la classica divisione dei luoghi in tre tipi (piani, solidi e lineari), cui fece seguito il risultato che, se le potenze dei termini in un’equazione data non superano il quadrato, allora il luogo è piano o solido: È comodo, per stabilire le equazioni, prendere due quantità scono¬ sciute sotto un angolo dato che supporremo retto, e dare la posi¬ zione e un estremo di una di esse; se nessuna delle due quantità sconosciute supera il quadrato, il luogo sarà piano o solido. Si pone ora il tema centrale del lavoro di Fermat: prendere coordinate e giustificare il risultato considerando casi di equa- UN LASCITO SEMPRE VIVO NELLE SCIENZE E NELL'ARTE 139
zioni di gradi progressivi. Fermat cominciò con l’equazione di primo grado che, secondo la terminologia di Viète, espresse nel¬ la forma «D in A aequetur B in E», cioè, dr = by, e dimostrò che il luogo geometrico, in questo caso, risulta essere una retta (semiretta). Quindi, affrontò le equazioni di secondo grado, mo¬ strando in primo luogo che «A in E aeq. Z pi», cioè xy = c2, è un’iperbole; e che ogni equazione nella forma di d2 = ocy = rx = sy si può ridurre facilmente all’equazione precedente dell’iperbole equi¬ latera, mediante sostituzioni che sono equivalenti a trasferimenti di assi. Dimostrò inoltre che x2 = áy , nonché y2 = dr, così come b2 ± oc2 = áy, sono parabole. Giunto a questo punto, affermò che «grazie a questo proce¬ dimento abbiamo costruito tutte le proposizioni del secondo libro di Apollonio sui Luoghi piani». Proseguì quindi con la dimostrazione che b2 - x2 = ky2 è un’ellisse e che b2 + x2 = ky2 è un’iperbole, di cui definì i due rami. La geometria analitica di Fermat dimostrò così la sua po¬ tenza come strumento sistematico di approccio dei problemi di luoghi geometrici. CARTESIO E IL PROBLEMA DI PAPPO Lo stesso Apollonio commentò nelle Coniche l’importanza della regola per costruire «il luogo di tre e quattro linee», cioè il pro¬ blema di Pappo, chiamato nel suo enunciato più semplice «luo¬ go di tre o quattro rette». Questa fu una delle questioni più im¬ portanti di tutta la geometria greca e solamente Euclide poté risolverla, ma in un caso particolare: la soluzione completa avrebbe dovuto attendere la definizione dei teoremi scoperti da Apollonio. Cartesio, che si avvalse dell’algebra come strumento algoritmico per elaborare un poderoso metodo analitico-sinteti- co per l’approccio di problemi geometrici, si propose di riforma¬ re la geometria greca e approcciò il «problema di Pappo delle tre o quattro rette», che, generalizzato in 2n-l, 2n rette, si trova in una delle sue migliori opere: la Geometria. 140 UN LASCITO SEMPRE VIVO NELLE SCIENZE E NELL ARTE
Il matematico francese si lamentò del fatto che la comparsa delle grandezze incommensurabili ostacolò i geometri greci nell’assegnare alle figure geometriche numeri che misurassero le loro lunghezze, aree e volumi; ciò li obbligò a calcolare diretta- mente con le figure, impiegate come grandezze. Così si faceva negli Elementi, dove i numeri si sostituivano con segmenti di retta e le operazioni tra si portavano a termine mediante costru¬ zioni geometriche. Nella geometria greca, i segmenti rettilinei non avevano lunghezza. Perciò le «operazioni» con i segmenti restituivano rettangoli e parallelepipedi, oggetti di natura stret¬ tamente geometrica e impossibili da confondere col prodotto delle lunghezze dei loro lati. Il senso aritmetico delle operazioni fu ignoto fino all’avvento di Diofanto. La grande innovazione di Cartesio, pertanto, fu assegnare una lunghezza ai segmenti, cosa che permise la loro manipolazione algebrica. Così, non ebbe alcun pregiudizio a parlare, circa il pro¬ blema di Pappo, del «prodotto di quattro linee rette, di cinque o di più», e scrivere un suo proprio enunciato di un problema che «Eu¬ clide aveva incominciato a risolvere e che Apollonio aveva prose¬ guito, senza che però nessuno l’avesse portato a termine»: Date tre, quattro o più rette, si deve trovare un punto da cui pos¬ sano essere tracciate altrettante linee rette, un su ognuna di quel¬ le date, sia costruendo con esse angoli dati, sia facendo in modo che il rettangolo formato da due quelle tracciate dal punto abbia una proporzione data con il quadrato della terza, se non ce ne sono più di tre; oppure con il rettangolo delle altre due, se ce ne fosse¬ ro quattro; oppure che, se ce ne sono cinque, il parallelepipedo composto da tre di esse mantenga la proporzione data con il pa¬ rallelepipedo formato dalle due rette che rimangono e da un’altra linea data. E così questo problema può essere esteso a ogni nume¬ ro di linee. Alla fine, precisò che c’era sempre una «infinità di diversi punti che possono soddisfare quello che si chiede», pertanto si richiedeva di «conoscere e tracciare la linea su cui tutti essi de¬ vono trovarsi; e Pappo dice che quando non ci sono più di tre o UN LASCITO SEMPRE VIVO NELLE SCIENZE E NELL'ARTE 141
quattro linee rette date, si trova in una delle tre sezioni coniche». Il progetto che impresse al problema fu il seguente: Ho compreso innanzitutto che, esposto il problema per tre, quattro o cinque linee, si possono sempre incontrare i punti cercati in ge¬ ometria semplice, cioè utilizzando semplicemente la riga e il com¬ passo; eccetto solamente quando, essendoci cinque linee, esse si¬ ano tutte parallele. E ho scoperto che quando non ci sono più di tre o quattro linee date, i punti cercati si trovano non solamente in una delle tre coniche, bensì a volte nella circonferenza di un cer¬ chio o in una linea retta. Prima di dare la risposta, illustrata nella figura 1, Cartesio chiarì che avrebbe tentato di «dare la dimostrazione in poche parole, perché mi stanca tanto scrivere». Siano AB, AD, EF, GH ecc., varie linee date e si deve trovare un punto, come C, da cui si traccino altre linee oltre a quelle date, come CB, CD, CE, CH, in modo che formino gli angoli CBA, CDA, CFE, CHG ecc. Siano dati, e il prodotto della moltiplicazione di una parte di queste linee sia uguale al prodotto della moltiplica- FIG 1 142 UN LASCITO SEMPRE VIVO NELLE SCIENZE E NELL’ARTE
zione delle altre; oppure che esse abbiano un’altra proporzione data, cosa che non rende, in alcun modo, più difficile il problema. Per prima cosa si supponga la cosa come già fatta e, per uscire dalla confusione di tutte quelle linee, si consideri una di quelle date e una di quelle da incontrare, per esempio AB e CB, come le prin¬ cipali, cui tutte le altre si devono riferire. Sia designato x il seg¬ mento della linea AB compreso tra i punti A e B; e CB sia designa¬ to y\ e tutte le altre linee si prolunghino fino a che non taglino queste due parimenti prolungate, se è necessario e se non sono parallele; come si vede, tagliano la linea AB nei punti A, E, G e la linea BC nei punti R, S, T. Ecco uno dei punti di maggiore interesse della Geometria di Cartesio: incominciare l’analisi, supporre il problema risolto, dare nome a tutti i segmenti necessari per rappresentarli, tanto quelli noti quanto quelli sconosciuti, e ricostruire algebricamente il problema fino a ottenere un’equazione che permetterà di raggiun¬ gere la sintesi. Per facilitare questo processo, Cartesio introdus¬ se il primo sistema di coordinate della Geometria: Si considero una di quelle date e una di quelle da trovare, per esem¬ pio AB e CB, come le principali e a cui tutte le altre devono riferir¬ si. Si vede così che qualunque sia il numero di linee date, tutte le linee tracciate da C, che formano angoli dati, conformemente all’e¬ nunciato, possono essere sempre espresse con tre termini, di cui uno è composto dalla quantità sconosciuta e moltiplicata o divisa per qualcun’altra nota; un altro dalla quantità sconosciuta x, an- ch’essa moltiplicata o divisa per qualcun’altra nota; e il terzo ter¬ mine composto da una quantità totalmente nota. Si vede quindi che moltiplicando varie linee tra loro, le quantità x e y che si trovano nel prodotto, non possono che avere ciascuna tante dimensioni quante linee. Perciò, benché non lo esplicito, nel caso di tre o quattro ret¬ te, il problema equivarrebbe alla seguente equazione quadratica: Ar2 + B xy + C y2 + dr + ey + f = 0. UN LASCITO SEMPRE VIVO NELLE SCIENZE E NELLARTE 143
In questo modo, nella soglia del Libro II della Geometria, comparvero per la prima volta le curve come luoghi geometrici definiti da equazioni. Cartesio risolse in modo brillante e genera¬ lizzato il problema di Pappo ed evidenziò la potenza di alcuni metodi che, nel corso del tempo, si trasformarono nell’essenza della geometria analitica. IL PESO DI APOLLONIO NELLA SCIENZA E NELLA TECNICA Durante quasi due millenni, l’idea di Apollonio che le orbite ce¬ lesti dovessero essere spiegate mediante la combinazione di mo¬ vimenti circolari fu una delle più importanti teorie astronomiche. Sviluppata dall’astronomo Ipparco di Nicea nel n secolo a.C., è giunta a noi attraverso VAlmagesto di Tolomeo, che completò il «sistema geocentrico», anche noto come «sistema tolemaico». Questo sistema ebbe una validità indiscutibile durante il Medio¬ evo; tanto che si pensava che fosse stato rivelato da Dio all’uomo. Tuttavia, la pubblicazione di De revolutionibus orbium coele- stium (1546), l’immensa opera dell’astronomo polacco Niccolò Copernico (1473-1543), cambiò in modo radicale il panorama. Il transito progressivo verso un «sistema eliocentrico» diede vita a una grande rivoluzione culturale e a un conflitto religioso che avrebbe colpito considerevolmente l’ambito scientifico, special- mente Giordano Bruno (1548-1600) e Galileo Galilei (1564-1642), autore del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano (1632). In ogni caso, la formulazione della legge meccanica di caduta libera dei corpi: e (0 = (1/2) • g (\ dove e è lo spazio, t è il tempo e g è l’accelerazione della gravità, permise a Galileo di risolvere un antico problema di ci¬ nematica: studiare le traiettorie dei proiettili di un cannone (a prescindere dalla resistenza dell’aria) e scoprire che si trattava 144 UN LASCITO SEMPRE VIVO NELLE SCIENZE E NELL ARTE
di parabole. Oggigiorno può sembrare elementare, ma a quel tem¬ po presuppose un forte colpo alle concezioni vigenti e accettate. Probabilmente fu la prima volta, nella storia della scienza che si usò una sezione conica differente della retta o dalla circonferen¬ za per la spiegazione di un fenomeno fisico. La spiegazione dello stesso è la seguente. Se si mantiene costante la velocità v con cui il proiettile esce dal cannone e si varia l’angolo di inclinazione del tubo rispetto all’orizzonte, il proiettile descriverà differenti parabole e raggiungerà differenti distanze di volo. La massima distanza corrisponde all’angolo di inclinazione di 45° ed è uguale a v2/g. Sparando in modo vertica¬ le, il proiettile raggiungerà un’altezza due volte inferiore: v2/2g. La cosa sorprendente è che per ogni velocità di uscita del proiet¬ tile, qualunque sia la posizione che si dà alla bocca cilindrica del cannone (sullo stesso piano verticale), ci saranno sempre luoghi in terra e in aria che tale proiettile non raggiungerà. Tutti questi luoghi, oltre ai punti dove può arrivare il proiettile se sparato in modo adeguato, sono parimenti limitati a una curva parabolica: la «parabola di sicurezza». Uno dei discepoli di Galileo, il fisico e matematico italiano Evangelista Torricelli (1608-1647), confermò che la involvente della famiglia delle traiettorie paraboliche contenute in uno stes¬ so piano è un’altra parabola, che non può essere mai sorpassata da alcun proiettile sparato dal cannone. Da qui la denominazione di «parabola di sicurezza», che, come si mostra nella figura 2, include un’altra proprietà notevole: la sua tangente al vertice coincide con la direttrice di tutte le parabole della famiglia. L’in- fiuenza delle opere di Apollonio non finisce qui. fig 2 parabola di sicurezza UN LASCITO SEMPRE VIVO NELLE SCIENZE E NELL’ARTE 145
Per esempio, l’astronomo tedesco Giovanni Keplero (1571- 1630) diede un nome ai fuochi e ponderò la sua importanza come elemento generatore delle proprietà delle coniche. Keplero svi¬ luppò una specie di «principio di continuità unificatore per tutte le sezioni coniche». Cominciò dalla sezione conica più elemen¬ tare, formata semplicemente da due rette secanti, in cui il fuoco è il punto di intersezione e passa in modo graduale per una fami¬ glia infinita di iperboli, man mano che un fuoco si allontana dall’altro. Quando si è allontanato in modo infinito, si ottiene una parabola e, oltrepassando il punto dell’infinito per poi avvicinar¬ si di nuovo dall’altro lato, si ottiene una famiglia di ellissi; quan¬ do coincidono i due fuochi, si ottiene una circonferenza. Keplero difese le teorie eliocentriche in Mysterium Cosmo- grahicum (1596) e, lavorando con l’astronomo danese Tycho Brahe (1546-1601), scartò la possibilità che un qualsiasi sistema combinato di circonferenze potesse spiegare l’orbita di Marte. Nel 1609 pubblicò Astronomia Nova, dove sostenne che «i pia¬ neti non si muovevano su orbite circolari eliocentriche, bensì in orbite ellittiche con il Sole in uno dei fuochi». Aggiunse che «le aree interessate (per via del raggio vettore che unisce il Sole con il pianeta) in tempi uguali sono uguali». Queste scoperte sono note come la prima e seconda legge di Keplero del moto plane¬ tario. Così, per spiegare la configurazione dell’universo, fece il suo ingresso nella scienza astronomica la stessa ellisse studiata quasi 2000 anni prima da Apollonio, come oggetto puramente geometrico. La terza legge di Keplero del moto planetario apparve in Har- monices Mundi Libri (1619), dove si afferma che «il quadrato dei periodi dell’orbita dei pianeti è proporzionale al cubo della distanza media dal sole». Con le sue leggi planetarie, Keplero aprì le porte allo studio di nuovi enigmi. Iniziò con le sfere di Pitago¬ ra ed Eudosso, e le circonferenze di Apollonio, Tolomeo e Coper¬ nico; continuò con le parabole di Galileo, e aprì il campo alla teoria della gravitazione universale di Isaac Newton, fondata proprio sui lavori di Galileo e Keplero. Newton riuscì a unificare le diverse teorie dei suoi predecessori, elaborò la famosa «legge» di gravitazione universale e pubblicò l’insieme dei suoi lavori, 146 UN LASCITO SEMPRE VIVO NELLE SCIENZE E NELL'ARTE
riferiti alla meccanica e all’astronomia, nella sua opera maggiore, Principia (1687). Newton provò che le leggi di Keplero sono con¬ seguenza diretta delle leggi del movimento dei corpi, chiamate da allora «leggi di Newton». Il suo gran merito fu di avere dimostrato che, a partire dalla legge di gravitazione universale, si potevano derivare leggi da Keplero e che i movimenti degli astri potevano essere descritti in forma teorica ed esatta, cosa che fu una rivolu¬ zione scientifica e filosofica. In concreto, Newton dimostrò nel primo libro dei Principia, Il movimento dei corpi, la prima legge di Keplero; dimostrò inoltre che la legge di gravità, cioè il fatto che la forza di attrazione sia inversamente proporzionale al quadrato della distanza, implicava la terza legge di Keplero. Bisogna rilevare che la geometria delle Coniche di Apollonio è presente in tutto questo primo libro, con 117 illustrazioni (nel¬ le sue 98 proposizioni e nei suoi 48 problemi), in cui compaiono le quattro coniche: circonferenza, ellisse, parabola, iperbole. Newton non utilizzò altri concetti sulle sezioni coniche succes¬ sivi a quelli del «Grande geometra» greco. Nelle edizioni dei Prin¬ cipia, inoltre, normalmente compare una nota sul latus rectum e su altri concetti di Apollonio. È molto significativo che la base geometrica dei Principia di Newton, sicuramente il libro più im¬ portante della storia della scienza, sia costituita letteralmente dai primi quattro libri delle Coniche di Apollonio. ANTENNE, SATELLITI E ALTRE APPLICAZIONI Uno degli emblemi che ha portato con sé l’introduzione mondia¬ le della telefonia mobile e dei canali satellitari sono le antenne paraboliche. Per il loro concepimento, ebbe una grande impor¬ tanza la geometria vincolata alle proprietà della parabola, che abbiamo descritto in questo libro; un’altra volta, il germe dei molti progressi attuali affonda le sue radici nei contributi mille¬ nari di Apollonio. Un’antenna parabolica è una parte di un para¬ boloide. Ha la proprietà che ogni segnale che arrivi parallelo all’asse si riflette in direzione del fuoco; per questo motivo, un’an- UN LASCITO SEMPRE VIVO NELLE SCIENZE E NELL'ARTE 147
GLI SPECCHI USTORI Esistono attestazioni dell’Antichità che narrano come Archimede incendiò le vele delle imbarcazioni romane che assediavano Siracusa nel 216 a.C, avvalendosi dei cosiddetti «specchi ustori», cioè quegli specchi concavi che riflettono i raggi so¬ lari e, concentrandoli su un fuoco, generano un calore capace di bruciare o fonde¬ re oggetti. Sebbene il fatto storico sia stato ampiamente discusso, la cosa certa è che le proprietà degli specchi ustori risultano innegabili e si basano sulle sezioni coniche, la principale materia di studio di Apollonio. Se si incurva una lastra me- tenna parabolica raccoglie segnali in tutta la sua superfìcie e li concentra sul suo fuoco, dove è posto un recettore. In questo modo si ottengono onde parallele con una fonte di emissione situata sull’asse della parabola e sufficientemente lontana. Così funzionano, per esempio, i satelliti geostazionari. All’atto pratico, occorre mettere in linea l’antenna con il satellite da cui si ricevo¬ no i segnali che si concentreranno nel fuoco del paraboloide, dove è ubicato il recettore della televisione. Le antenne con mag¬ giore superfìcie concentrano più segnali e ottimizzano la ricezio¬ ne dei programmi, è ciò spiega quanto siano fondamentali per la trasmissione e la ricezione in ambito scientifico e militare, così 148 UN LASCITO SEMPRE VIVO NELLE SCIENZE E NELL'ARTE
tallica ben levigata e gli si dà una forma ellittica, rispettando la «legge del percor¬ so minimo» di Erone sulla riflessione della luce, si deduce che l’angolo di inciden¬ za deve essere uguale all’angolo di riflessione. Ciò suppone che i raggi di luce derivati da un fuoco dell’ellisse, dopo che si siano riflessi sulla lastra ellittica, pas¬ seranno all’altro fuoco. Se ora si considera uno specchio ellissoidale generato dal¬ la rivoluzione di un’ellisse intorno al suo asse maggiore, si otterrà un strumento con una proprietà terrificante: collocando in uno dei suoi fuochi una fonte intensa di luce, tutti i raggi che provengano da essa si concentreranno sull’altro fuoco, provocando l’ignizione di tutto quanto si trovi lì. Sullo stesso principio si basa la trasmissione di voci a distanza, che a volte si manifesta in alcuni luoghi la cui con¬ formazione ha a che fare con l’ellisse. La parabola gode di proprietà ustorie simili a quelle dell’ellisse, ancor più note nella scienza, nella letteratura e perfino nelle leggende. In un certo senso, la parabola può essere considerata come un’ellisse in cui uno dei fuochi sarebbe trasportato all’infinito. Fari di veicoli e riflettori Così come per l’ellisse, se si incurva una lastra metallica ben levigata, se le si dà una forma parabolica e se si osserva la stessa legge di Erone, i raggi di luce deri¬ vati del fuoco della parabola, dopo essersi riflessi nella lastra parabolica, formano un fascio di raggi paralleli. In modo reciproco, se un fascio di raggi paralleli all’as¬ se della parabola incide sulla lastra parabolica, i raggi si riuniranno, dopo essersi riflessi, e si concentreranno su un solo punto: il fuoco della parabola. Su questa proprietà della parabola si basa l’impiego di specchi parabolici sui fari dei veicoli e, in generale, sui riflettori. Sono parte di un paraboloide che risulta dalla rotazio¬ ne di una parabola intorno al suo asse. come telefonico. Secondo lo stesso principio scientifico, si pro¬ gettano i forni solari, che non necessitano altro combustibile che la luce del sole. Seguendo un processo analogo, bisognerebbe collocare il materiale a scaldare nel fuoco dello specchio a forma di paraboloide. Con ciò si possono raggiungere temperature fino ai 4.000 °C, capaci di fondere materiali refrattari senza lasciare residui. Bisogna anche citare certe centrali di produzione di ener¬ gia elettrica, la cui fonte energetica è il sole. Sono simili ai forni citati, ma il loro volume è molto maggiore. La luce del Sole si riflette in un grande paraboloide con numerosi pannelli, disposti in una maniera ben studiata. UN LASCITO SEMPRE VIVO NELLE SCIENZE E NELLARTE 149
UN’IMPRONTA INDELEBILE PER L’ARCHITETTURA Le coniche sono alcune delle curve più importanti che la geome¬ tria offre all’architettura da tempi immemorabili e in differenti spazi, e grazie a esse si sono realizzare vere e proprie opere d’ar¬ te. Si conservano costruzioni centenarie e perfino millenarie nel¬ la cui facciata o al cui interno si possono osservare coniche: per esempio, il Colosseo di Roma, costruito nel i secolo con perfetti archi di parabola nella sua facciata, e la Torre Eiffel, eretta tra 1887 e 1889 a Parigi, una piramide a base quadrata i cui lati non sono segmenti rettilinei, bensì archi iperbolici; la ragione è che questi rispondono meglio al comportamento generale della strut¬ tura della torre rispetto alla forza del vento. Oggigiorno non solo si usano le coniche in dettagli di tipo decorativo, ma anche in grandi strutture, dove esse compiono una funzione molto rilevante alla base di iperboloidi di una faccia (o di rivoluzione, risultato del giro di un’iperbole intorno all’asse principale che non taglia la curva). È il caso delle torri iperboli¬ che delle grandi centrali termiche, dei ponti e di alcune cupole. A volte danno forma, anche, a scale, balconi e altre parti di edi¬ fici. Un capitolo a parte meritano le opere dell’architetto spagno¬ lo Antoni Gaudi (1852-1926), in cui si nota un’insolita fusione di qualità estetica ed eccellenza strutturale, di forma e funzione. Nell’applicazione delle coniche all’architettura, ha predomi¬ nato l’arco di circonferenza, imposto dai romani nelle loro co¬ struzioni di archi di templi, ponti e acquedotti, volte sferiche di terme. Questo tipo di arco fu in seguito utilizzato dall’arte roma¬ nica nei suoi archi interni, finestroni e chiostri. I Visigoti e i Mo- zarabi usarono l’arco ogivale, formato da due terzi di una circon¬ ferenza. In seguito, l’arte gotica predilesse l’uso del centro unico mediante l’arco ogivale, determinato da due archi di circonferen¬ za; e gli stili artistici successivi, plateresco e barocco, incremen¬ tarono il numero di centri di un arco. In alcune costruzioni ba¬ rocche il circolo tende a trasformarsi in ellisse: soprattutto, in finestre, nicchie, medaglioni, pale e scudi. Quanto alle tre coniche tradizionali (ellisse, parabola, iper¬ bole), si può affermare che l’ellisse, in termini generali, si usa 150 UN LASCITO SEMPRE VIVO NELLE SCIENZE E NELLARTE
GAUDI, IL MAESTRO DELLE FORME CONICHE L’architetto spagnolo Antoni Gaudi ampliò in modo considerevole il numero di forme piane e spaziali, dando vita a una nuova morfologia estetica nell’am- bito della bellezza, e come componente strutturale dalla prospettiva gravi¬ tazionale dei carichi. Il suo patrimonio geometrico riunisce, nel piano, curve paraboliche e catenarie; nello spazio, oltre al cono e al cilindro, altre super¬ aci regolamentate composte da linee rette che determinano superfici curve nello spazio, come l’elicoide, l’iperboloide di una lato e il paraboloide iper¬ bolico. In esse trovò un campo affascinante di ricerca architettonica, soprat¬ tutto quanto alla penetrazione della luce, e apportò soluzioni inedite su muri, volte e coperture. Gli elementi geometrici più importanti della sua opera sono, pertanto, le forme coniche (circonferenze, ellissi, parabole e iperboli), le su¬ perfici regolamentate, le forme cilindriche (cilindri e coni) e l’iperboloide di un lato. Gaudi usò profusamente il paraboloide iperbolico nel Palazzo Güell, nella Colonia Güell e nel Park Güell. Paraboloidi iperbolici L’apice dei paraboloidi iperbolici arrivò con la sua opera più universale: la basilica della Sagrada Familia. I finestroni laterali si accompagnano alle com¬ plesse forme degli iperboloidi di un lato, presenti intorno al centro ellittico, che fanno parte del finestrone. Un secondo caso sono le basi delle grandi colonne che creano una transizione soave tra il solo piano e il principio delle colonne, con uguali accorgimenti paraboloidi iperbolici. Nel soffitto delle navate laterali, i corpi delle colonne sono incoronati da capitelli iperboloidi, e i paraboloidi iperbolici ammorbidiscono l’intersezione degli iperboloidi di un lato, approfittando dei rimanenti iperboloidi utilizzati per costruire le ge¬ neratrici degli iperbolici. Dettagli del soffitto della navata della basilica della Sagrada Familia, a Barcellona (Spagna). UN LASCITO SEMPRE VIVO NELLE SCIENZE E NELL'ARTE 151
frequentemente in anfiteatri e stadi, nelle scale a chiocciola e nella superficie di cupole; che la parabola, data la sua grande resistenza strutturale, si impiega in archi, cupole e ponti, e che l’iperbole, di forma complessa e di buona resistenza strutturale, si può ritrovare in coperture e strutture di supporto, come colon¬ ne, torri e camini. «Per molte ragioni voglio fare le volte con paraboloidi iperbolici. È un magnifico segno della Santissima Trinità, perché sono due generatrici rette e infinite, e una terza generatrice retta e infinita che si trattiene sulle altre due. Il Padre e il Figlio uniti con lo Spirito Santo. Tre altrettanto infiniti, che rappresentano una sola cosa». — Antoni Gaudì. Anche l’architettura e l’ingegneria hanno usato le superfici risultanti dal giro delle coniche attorno a uno dei suoi assi. Fa¬ cendo girare una circonferenza attorno al suo diametro, si gene¬ ra una sfera, la metà della quale è la forma più usuale delle cupo¬ le. Facendo girare un’ellisse, un’iperbole o una parabola, si generano le superfici di rivoluzione ellissoide, iperboloide e pa¬ raboloide, impiegate in numerose costruzioni artistiche e indu¬ striali degli ultimi decenni. Si sono perfino utilizzate altre super¬ fici quadratiche generate anche da altri movimenti di coniche: in particolare, il cilindro ellittico, che prende come direttrice un’el¬ lisse; il cilindro parabolico, che prende come direttrice una pa¬ rabola, e il paraboloide iperbolico (superficie creata a partire da una parabola con la concavità verso il basso, che scivola lungo un’altra parabola con la concavità verso l’alto). Queste superfici sono regolamentate, cioè composte da linee rette, e facili da co¬ struire con asticelle di legno, cemento o ferro. I risultati estetici sono molto originali. A titolo d’esempio, si possono osservare alcuni edifici in cui le coniche hanno svolto un ruolo estetico o strutturale rilevante: per esempio, l’ellisse dell’anfiteatro di Pompei e della piazza di San Pietro in Vaticano; la parabola è ben visibile nel Gateway 152 UN LASCITO SEMPRE VIVO NELLE SCIENZE E NELLARTE
FOTO IN ALTO A SINISTRA Nel 1961 la NASA lanciò il Syncom, il primo satellite geosincrono della storia. Dato che la posizione relativa di questi satelliti rispetto alla Terra non può variare, il suo calcolo esige l’intervento delle leggi di Keplero. FOTO IN ALTO A DESTRA Vista aerea della piazza di San Pietro, Vaticano: qui si può apprezzare il carattere architettonico ellittico di questo recinto di colonne sacro per la cristianità. FOTO IN BASSO Oltre al suo significato e alla sua bellezza, la scena che Raffaello dipinse della sua Scuola di Atene presuppone una composizione ellittica di prim'ordine. UN LASCITO SEMPRE VIVO NELLE SCIENZE E NELL’ARTE 153
Arch di Saint Louis, in Missouri, e l’iperbole fa mostra di sé nella cattedrale di Brasilia. Benché da questo elenco sia esclusa la sfera (circonferenza), un elemento abituale e ben noto, si deve menzionare la cupola sferica del Pantheon di Agrippa, a Roma. Quanto ad altre arti diverse dall’architettura, la pittura non si mostra aliena alle scoperte di Apollonio sulle sezioni coniche e altri concetti geometrici, ma l’enumerazione delle opere che le raccolgono sarebbe troppo estesa. Nonostante ciò, per la sua qualità eccezionale e per la sua grande rappresentatività, è d’uo¬ po menzionare la Scuola di Atene, di Raffaello, come un elemen¬ to ellittico meraviglioso. Tutto ciò porta a sostenere che il lascito di Apollonio è an¬ cora oggi tanto presente nelle arti quanto nelle scienze. Dalle Coniche ai satelliti geostazionari, passando per Cartesio, Fermat, Keplero, Newton e tanti altri, la geometria ha fatto passi da gigante e ha offerto applicazioni di incalcolabile valore. Di ciò si è voluto rendere conto in questo libro, il cui obiettivo non è altro che far conoscere la vita e l’opera di Apollonio, rivendicandolo come uno dei matematici più insigni della storia. Così lo certifica l’importanza dell’ambito geometrico in cui esercitò la sua imma¬ ginazione e così lo giudicò Gottfried Wilhelm Leibniz, la cui com¬ petenza matematica è fuori da ogni discussione: Tutto quello che si apprende da Apollonio tende a fare ammirare di meno le scoperte delle personalità più eminenti delle epoche successive. 154 UN LASCITO SEMPRE VIVO NELLE SCIENZE E NELL’ARTE
Letture consigliate Apollonio, Les Coniques, Parigi, librairie A. Blanchard, 1959. — Treatise on Conic Sections. Carruthers Press, 2015. Boyer, C. B., Storia della matematica. Mondadori, 2017. CoLERUs, E., Piccola storia della matematica. Mondadori, 1960. Euclide, Tutte le opere. Bompiani, 2007. González Urbaneja, P. M., Et legado de las matemàticas. De Eucli- des a Newton. Los genios a través de sus libros. Siviglia, Consejeria de Cultura de la Junta de Andalucia, 2000. — Los origenes de la geometria analitica. Tenerife, Funda- ción Canaria Orotava de Historia de la Ciencia, 2003. — Fermat y los origenes del cálculo diferencial. Madrid, Edi- ciones Nivola, 2008. Heat, T. L., A History of Greek Mathematics. New York, Dover Publications, 1981. Kline, M., Mathematical Thought from Ancient to Modem Times. Oxford University Press USA, 1972. Pappo di Alessandria, La Collection Mathémathique, Parigi, Librai¬ rie A. Blanchard, 1982. 155
Indice Abel, Niels Henrik 26 Accademia platonica 9, 20, 21, 37 Alessandro Magno 19, 20, 21, 28, 39 algebra geometrica 36, 66, 114, 117 antenne paraboliche 133, 135, 147- 148 applicazione delle aree 36, 49, 84 Aristarco 19 Aristeo 47, 83, 113, 129, 138 Aristotele 20, 115, 124, 125 Archimede 7, 8, 9, 10, 12, 17, 19, 23, 26, 43, 47-49, 53, 73, 83, 91, 114, 124, 130, 131, 137, 148 Archita di Taranto 13, 23, 25, 29 ascisse 11, 28, 29, 33, 47, 49, 50, 53, 54, 55, 58, 61, 65, 84, 86, 108, 139 asintoti 8, 13, 24, 31, 33, 38, 40, 76, 79, 80, 106 assi 24, 29, 30, 31, 33 Barrow, Isaac 13, 35 Brahe, TVcho 146 Bruno, Giordano 144 Cartesio (René Descartes) 11, 12, 13, 66, 120-122 cilindro di rivoluzione 23 cissoide 97, 114, 124 di Diocle, 114 Commandino, Federico 37 concoide di Nicomede 114,125 cono di rivoluzione 23 Conone di Samo 91 coordinate 8, 11, 12, 13, 15, 21, 22, 30, 32, 33, 65, 68, 75, 76, 85, 87, 105, 138, 139, 143 Copernico, Niccolò 144,146 corpi platonici 128 diametri coniugati 33, 34,44,45,46, 70, 75, 76 direttrice 24, 82, 83, 145,152 duplicazione del cubo 9, 13, 20, 22, 23-26, 28, 36, 37 Dürer, Albrecht 62 eccentricità 24 Elisabetta di Boemia 122 ellisse 9,10, 13, 20, 23, 27-30, 33, 34, 41,47,49-51, 53, 54,57,58,61, 62, 64-66, 68-76, 78, 80, 82-87, 93, 94, 100-102, 104-106, 108-110, 117, 157
136, 138, 140, 146-152 Empedocle di Agrigento 128 Eratostene 19, 28, 29 Erone di Alessandria 26, 149 Euclide 7, 8, 9, 10, 13, 17, 19, 32, 35, 38, 40, 43, 47, 48, 66, 70, 73, 83, 91, 113, 114, 116, 117, 119, 126- 130, 135, 140, 141 Eudemo 18, 31 Eudosso di Cnido 20, 29,40,115,146 Eulero (Leonhard Euler) 120-122 Eutocio di Ascalona 17, 23, 26, 34, 37, 47, 131 evoluta 33, 34, 95, 104, 105 evolvente 33, 95 Fermat, Pierre de 11, 12,13, 66, 114, 122, 133, 135, 137-140, 154 forni solari 135, 149 fuoco 8, 24, 78-87, 115, 146, 147,148, 149 Galileo 20, 144-146 Gaudi, Antoni 150-152 generatrice, 20-22, 27, 30, 44, 47, 152 geometria analitica 11,12,13,15,20, 22, 24, 68, 114, 117 Gemino di Rodi 47, 126 Ghetaldi, Marino 125, 137 Halley, Edmond 13, 36, 37, 116 Huygens, Christiaan 33, 89, 95, 97, 125 involvente 10, 104, 145 Ipparco di Nicea 144 Ipazia di Alessandria 19, 34 iperbole 9, 10, 13, 20, 23, 24, 27-30, 32-34, 38,47, 49, 50, 51, 53-57, 59- 61, 64, 66, 68-76, 78-87, 92, 93, 94, 97, 100-102, 105-110, 117, 120, 136, 140, 146, 147, 150, 152, 154 Ipsicle di Alessandria 13, 129 Keplero (Johannes Kepler) 7,20,82, 146, 147, 154 leggi di 146, 147, 153 latus rectum 22,23, 27-30,47,49, 50, 53, 65, 69, 76, 147 Leibniz, Gottfried 48, 154 L’Hôpital, marchese de 122 luoghi 24, 31, 33, 68, 83, 108, 113, 118-123, 135, 137, 138, 139, 140 piani 24, 68, 113, 118-123, 135, 137, 140 solidi 31, 83, 108 Mandelbrot, Benoit 20 Marino 116 medie proporzionali 21, 22, 23, 26, 28, 29 Menecmo 9, 10, 13, 20-24, 26, 29, 38 Naucrate 30, 31 Newton, Isaac 7, 13, 48, 120-122, 127, 133, 146, 147, 154 Omerique, Antonio Hugo de 13, 125, 127 ordinate 11, 28, 29, 33, 45, 47, 50, 51, 53, 54, 55, 58, 51, 64, 65, 70, 73-77, 84, 87, 92, 93, 96, 98, 99, 100, 102, 108, 130, 138, 139 Pappo di Alessandria 9, 13, 17, 18, 19, 26, 32, 34, 37, 83, 108, 111, 113, 114, 116, 117, 118, 119, 120, 123-126, 129, 130, 135, 137, 140, 141, 144 parabola 9, 10, 13, 20, 22, 23, 27-30, 41, 47, 49-54, 57, 61, 62, 64-66, 68- 76, 78, 79, 81, 82, 92, 94, 96, 98, 100-102, 104-106, 108, 109, 117, 133, 135, 136, 138, 140, 145-152 158 INDICE
di sicurezza 145 paraboloide iperbolico 147-152 Pitagora 126, 128, 146 Platone 19, 23, 25, 26, 28, 48, 120, 128 Poncelet, Jean-Victor 120 problema di Apollonio 13, 118, 122, 137 di Delos 9, 20-26, 28 di Pappo 32, 116, 117, 135, 140- 144 Proclo di Licia 13, 19, 23, 115, 126, 129 proprietà specifica della curva 11, 27 ustoria dell’ellisse 148, 149 ustoria della parabola 148, 149 quadratrice 10, 23, 114, 124, 125 di Dinostrato 12,114 di Ippia 23, 114 quadratura del cerchio 36 rette massime 100-108 minime 100-108 normali 103-108 satellite geoestazionario 135, 137, 147, 148, 153, 154 sezione di cono acutangolo 22 ottusangolo 22 segmenti massimi 13, 33 minimi 13, 33 Sereno Antisense 34, 37 Simpson, Thomas 122 tangenti 8, 10, 11, 13, 30, 33, 56, 58, 70-80, 83, 91, 92, 94, 95, 103, 104, 116, 117, 137 Teone di Alessandria 19, 120 Tolomeo, Claudio 13,115 Torelli, Giuseppe 122 Torricelli, Evangelista 145 traiettoria di una palla di cannone 144, 145 trisezione dell’angolo 36, 125 Viète, François 13, 120, 122, 137, 138, 140 Wantzel, Pierre-Laurent 13, 26 Woepcke, Franz 130 INDICE 159